MotoGp, quando Rossi era un ragazzino che ballava al "Controsenso" di Forlì

Moto

Valentino Rossi ha il volto di un bambino che gioca in discoteca con gli amici e la madre. Del baby talento “figlio di papà” che arriva nel mondiale 125 con Giampiero Sacchi. Del ragazzo pirotecnico che vince e stupisce con ogni celebrazione o scenetta. Del campione affermato che sfida la Honda e vince. Del pilota Yamaha che lascia la sua “casa” per approdare in Ducati e fallisce. Del vecchio che si rialza e si reinventa di nuovo in Yamaha, fino alla parabola finale: l’icona che gira come un fantasma nel paddock, guardato da “gorilla” e attento a sparire nel minor tempo possibile. Un’epopea lunga 25 anni, che ho vissuto prima da tifoso e poi da giornalista. Ero un giovane universitario, avido di Motosprint, quando ad una festa al “Controsenso”, in centro a Forlì, incontrai un Vale giovanissimo (1993, aveva appena vinto il campionato italiano Sport Production con la Cagiva Mito 125 di Lusuardi, con un finale contestato ricco di sportellate con Stefano Cruciani). Era un bambinetto, ma era dinamite. Avevo letto dei primi passi di questo “figlio di papà”, messo su una moto dal padre Graziano, pilota degli anni ‘70 e ‘80. Lo scrutai e mi sembrava insopportabile e pieno di energia, perchè ripeteva sempre con la madre: chi è stato il campione sport production? Io! Ricordo poi i successi nel campionato italiano e nell’Europeo 125 Gp. Poi il debutto mondiale nel 1996 con l’Aprilia gialla, azzurra e nera del team Agv di Giampiero Sacchi, con Andrea Boscoscuro, ora patron della Boscoscuro Moto2, come compagno che gareggiava in 250. Grazie a Valentino stupii alcuni miei compagni di rugby del Forlì 1979, indicandolo come futuro campione: pronostico facile? Non lo so ma ci presi. Continuai poi a seguirne le esperienze e le peripezie, fino a quando venni incaricato, nel 2007, di scrivere di MotoGp per il giornale con cui collaboravo da diversi anni, il Corriere Romagna. Finalmente entrai nel mondo che avevo visto da tifoso per anni, con un ruolo diverso. Occasione per conoscere i campioni ancora più da vicino. Chiaramente a noi interessavano i romagnoli, ma Vale, che era di Tavullia, una sorta di Romagna mancata, ed era un’icona, non poteva essere ignorato. Era il periodo della sfida con Stoner e, dopo aver sgretolato Biaggi e Gibernau, Rossi aveva un osso ancora più duro da sgranocchiare. La battaglia per avere le Bridgestone. Era anche il periodo in cui aveva fatto clamore la sua diatriba con il fisco italiano, per una questione di tasse non pagate con la motivazione della residenza in Inghilterra. Vale si presentò in sala stampa a Misano e fu annunciato che si parlava solo in inglese. Era chiaro che Rossi non voleva domande scomode dalla stampa tricolore. Andai da Graziano che ancora seguiva il figlio e gli chiesi: ma Vale fa la conferenza stampa in inglese per evitare domande scomode da noi cronisti italiani? «Assolutamente no» rispose e chiamò l’addetta stampa che allora era una ragazzona bionda e riccioluta, che alla domanda diretta di Rossi Senior, confermò che l’escamotage era proprio per evitare domande sull’affare “tasse”. Quando ne parlai in sala stampa alcune delle firme più prestigiose nazionali si misero a ridere, millantando ottime conoscenze della lingua d’oltremanica, ma domande sulle tasse contestate dal fisco non ne fece nessuno... e ancora oggi mi vien da ridere. Ricordo poi il ritorno alla vittoria nel Mondiale con Misano, casa sua, esplosiva per il colore giallo, i “canarini”, i suoi tifosi, spesso considerati appassionati di moto di serie “B” da chi ama questo sport. Nel 2011 e 2012 il matrimonio fallimentare con Ducati, e quel giallo che con il rosso proprio non riusciva a sposarsi. Il ritorno nel 2013 in Yamaha e la ricostruzione che fece un campione di se stesso. L’avversario questa volta era soprattutto in casa: Jorge Lorenzo. Un altro giovane si stava affacciando, tale Marc Marquez. All’inizio amicissimo con Vale, poi nemico giurato. Come Vale aveva fatto con Biaggi, attaccato da subito per sottrargli popolarità, così Marc fece con Vale, con la differenza che lo spagnolo menava forte anche in pista. Una dura battaglia fino al 2018, poi il declino inesorabile. Vale, che avevo visto nel paddock, sempre impegnato a parlare con i colleghi e scambiare battute, ormai irraggiungibile: nessuno poteva avvicinarlo se non nei tempi delle conferenze stampa, con regole e tempi ferrei. Da padre accompagnai mia figlia due volte per farglielo incontrare. La prima ad una festa Dainese e Agv, in una delle serate precedenti al Gp: arrivò di nascosto già vestito e scappò mentre i colleghi lo inseguivano per chiedergli una battuta; la seconda volta in una conferenza stampa nell’hospitality, da cui un “simpatico” buttafuori mi fece uscire perché un giornalista non poteva andare a lavorare con sua figlia... Insomma il campione assediato e amato era sempre più ristretto solo al suo clan. Forse questo lo ha spento, forse è stata l’età, ma una nuova sfida in Ducati o nel mondiale Superbike ci sarebbe proprio piaciuta. Vale è stato il motociclismo per due decenni e con lui se ne va una parte di storia del nostro tempo.

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