MotoGp, Dovizioso: l'antidivo della pista saluta tutti

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«Ero l’uomo invisibile. Un numero. C’ero ma non c’ero. “Te Dovi sei del colore dell’asfalto”, mi ha detto una volta Luca Cadalora. Aveva ragione. La gente non mi vedeva proprio. Se sei uno che vive di corse, cerchi disperatamente i risultati ma non vinci e in più sei un introverso che vuole essere persona e non personaggio, non vieni notato». Inizia così la biografia di Andrea Dovizioso, un libro che tra l’altro si intitola proprio “Asfalto” (Mondadori, 2018). Un titolo e un libro il linea col personaggio, raro esemplare di pilota romagnolo di terra in mezzo a tanti romagnoli di mare. Nella copertina del libro, c’è Dovizioso in tuta Ducati in una sua tipica espressione: non sorride e ha la faccia pensierosa di chi spera che il libro abbia successo, ma non vede l’ora che finisca presto lo strazio di quelle pose davanti al fotografo. Un po’ come gli ultimi minuti del servizio fotografico al matrimonio davanti al terribile laghetto dei cigni: speri che alla distanza vada tutto bene, ma sul momento, ecco, ci sarebbe di meglio da fare.

Evoluzione

Misano è il ballo di addio di Dovizioso, il pilota tutto calcoli e pochi sorrisi ma sinceri. Brontolone, quello sempre, ma almeno negli anni ha brillantemente superato la sindrome del complotto, diventando un pilota maturo e completo. A inizio carriera ce l’aveva un po’ con tutti, sia che vincesse o non vincesse. Un tosto ragazzino forlivese in perenne lotta con un mondo antipatico che gli vuole male. Un calcolatore seriale alla Niki Lauda che odia il cabaret fuori dalla pista, ma che in gara nei momenti migliori sapeva azionare una testa sveglia come un computer. Ad un certo punto, all’apice del suo scazzo contro il mondo, il Dovi ricordava la vecchia barzelletta dell’automobilista in autostrada che sente uscire dalla sua radio: “Fate attenzione, c’è un pazzo che procede contromano in autostrada!”. E l’automobilista: “Un pazzo? Ma qui sono tutti pazzi!”. Ecco, il momento migliore della sua carriera è arrivato quando ha smesso di andare contromano, quando si è rasserenato e ha capito che si può rimanere se stessi senza andare per forza in guerra col mondo.

Ultima recita

Il Dovi alla sua ultima recita a Misano è un vecchio ragazzo di 36 anni che ha sfiorato il tetto del mondo senza mai dimenticare chi era e da dove veniva. Le sue radici forlivesi, la passione per il motocross, gli amici di sempre del club Ten Bota, fino alla libertà di scegliersi uno stop sabbatico a 35 anni per dedicarsi al cross, rimettendo in moto il camper per andare in giro per l’Italia. Era fresco del dopo-Ducati e dopo il tira e molla con Aprilia, praticamente nessuno ha capito la sua mossa in quel momento della sua carriera, una mossa rock da cantante che spacca le chitarre sul palco.

Con i grandi

Ha vinto un titolo mondiale nella classe 125 nel 2004, poi nel corso della carriera è stato un eterno secondo alla Toto Cutugno, con cinque secondi posti in classifica generale: due in 250 con l’amata Honda nel 2006 e nel 2007 alle spalle dell’Aprilia di Jorge Lorenzo, poi tre secondi posti di fila in MotoGp dal 2017 al 2019 con la Ducati. Guida e doma alla distanza una rossa di cui diventa il pilota simbolo del dopo-Stoner, ma davanti c’è sempre la Honda di Marc Marquez. La scintilla che lo consacra tra i grandi della classe regina arriva in Austria nel 2017: batte Marquez dopo un duello da malore e alla fine dichiara: «Ora sono un bravo ragazzo con i maroni».

Dovi e Sic

In famiglia, babbo Antonio e mamma Annamaria assemblavano componenti per divani, mentre la sua carriera in moto iniziava in campagna in sella ad un Grizzly da minicross. Si butta nel mondo delle minimoto e i rivali si chiamano subito Rossi (per un anno) poi Corsi, Pasini, Poggiali, Badovini e ovviamente Marco Simoncelli, con cui parte una fiera rivalità. Due romagnoli agli antipodi: Sic è un guerriero che guida al limite e spesso oltre, Dovi un ragionatore che sa quello che vuole. Ancora Dovizioso nel suo libro: “Non ci sopportavamo tra figli, non si sopportavano lui (Paolo Simoncelli, padre di Marco, ndr) e mio babbo. A noi non piaceva l’irruenza di Paolo, gli inviti a Marco ad essere duro, a sportellare, a giocare aggressivo, a volte sporco. Io ero l’opposto e loro non sopportavano la mia immagine di ragazzo perfettino e un po’ professorale, sempre dentro le regole e con il palo nel culo”. Fino a Sepang, 23 ottobre 2011 e il tragico incidente del Sic: “All’improvviso scoppio a piangere come non ho mai fatto in vita mia. Disperato. Senza consolazione. Poi decido di andare da Paolo: ci abbracciamo in lacrime senza parlare. Lui mi stringe con le sue grandi mani. Le barriere crollano in un istante. Per la prima volta siamo due persone reali, fuori dall’immagine sbagliata che avevamo l’uno dell’altro”.

Ciao Misano

Domenica tra le poche certezze che ci sono c’è quella che Dovizioso non vincerà, in un circuito che nel 2018 (mica un secolo fa) lo vide primo in MotoGp davanti a Marquez e Crutchlow. Un trionfo in un giorno di sole per un pilota che sa cavalcare la pioggia: «Sulla pioggia vado bene. So calcolare i rischi e gestisco gli imprevisti. Sull’acqua devi danzare come Michael Jackson e pensare come Albert Einstein». Già, pensare, chissà il frullatore di pensieri verso l’ultimo giro di giostra di Misano, la gara di casa per il romagnolo di pianura che non regala sorrisi gratis: «Ma essere solitari non vuol dire essere tristi. Anche da piccolo, io ero solo un bambino timido e solitario che amava stare per conto suo». Dal semaforo verde fino all’ultima bandiera a scacchi, è andata a finire che non è mai cambiato.

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