Morto l'ultimo superstite dell'eccidio nazifascista di Tavolicci

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È morto Gino Sartini, a 91 anni. Era l’ultimo superstite dell’eccidio nazifascista di Tavolicci, dove furono uccise 64 persone. L’Amministrazione comunale di Verghereto, l’Istituto Storico della Resistenza di Forlì e gli Amici della Casa di Tavolicci, nell’esprimere alla famiglia le più sentite condoglianze hanno anche ricordato i tragici fatti del 22 luglio 1944 e come il tredicenne Sartini sia riuscito a salvarsi, unico di 13 familiari.

Gino Sartini era nato nel 1931 e risiedeva al primo piano di quella che oggi è conosciuta come la Casa della strage di Tavolicci. «La mattina del 22 luglio 1944 due militi armati del IV battaglione della polizia italo tedesca - si legge nel ricordo - penetrarono nel suo appartamento ed entrarono nelle tre stanze da letto costringendo ad alzarsi il nonno Domenico Sartini, il padre e la madre Lazzaro Sartini e Maria Babini, i fratelli Irma e Ivo, gli zii Giovan Battista Sartini e Giuseppina Caminati e i cugini Maria, Renato, Benilde, Italo ed Elio. Tutti furono fatti scendere nel piazzale antistante all’abitazione. Al nonno Domenico, al padre Lazzaro e allo zio Giovan Battista così come ad altri sette uomini di Tavolicci furono legate le mani dietro la schiena, mentre le donne e i bambini, in tutto quarantaquattro persone, furono rinchiusi al pian terreno della casa dove abitava anche Gino, nell'appartamento di Domenico Baccellini. Un milite mascherato aprì la porta della stanza, dove erano rinchiuse le donne e i bambini, urlò di stendersi a terra e poi cominciò a sparare. Molti morirono per i colpi della mitragliatrice, Gino rimase ferito e, mentre il militare ricaricava l'arma, si portò al piano di sopra, dove trovò Domenico Gabrielli e altre persone. Dopo pochi minuti dai piani sottostanti salivano fiamme e fumo, e chi non moriva per le pallottole moriva bruciato vivo. Domenico e Gino, per sfuggire alle fiamme e al fumo, uscirono dalla finestra che dava sul tetto per saltare nel campo coltivato a grano. I militi spararono ma le pallottole non li raggiunsero. Domenico si allontanò nel bosco e Gino, ferito e sfinito per la perdita del sangue, si fermò fra il grano e si addormentò. Quando si svegliò, vide un anziano di Tavolicci poco distante e col suo aiuto raggiunse la casa dell'anziano, dove sopraggiunse il nonno materno Domenico Babini che lo portò a casa sua».

Nel 1953 Gino lascia Tavolicci e con la moglie Rosalba, deceduta nel 2017, si trasferisce a Casalbono di Cesena dove acquista casa e podere che coltiva personalmente, poi è impiegato come operaio alla camiceria di Meldola. Andato in pensione si trasferisce a San Vittore di Cesena dove si è svolto il funerale.

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