Moro & The Silent Revolution in concerto all’Hobo’s di Rimini

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Si intitola “Unbecoming” il nuovo disco di Moro & The Silent Revolution, un album in cui risaltano chiare le influenze cantautorali anglosassoni del secolo scorso, con una bella e poetica copertina da cui fa capolino una volpe rossa su un abbagliante campo bianco.

Il leader Massimiliano Morini ci parla della band e di questo lavoro: «Io sono forlivese e il resto della band è di Savignano e Cesena, ma quando ci presentiamo all’estero, diciamo “From east coast of Romagna”, che non significa niente ma fa figo. Siamo un gruppo “sconosciuto in tutto il mondo”, nel senso che ci conoscono in cinquanta, ma sparsi in tutto il mondo, quindi non abbiamo il problema di piacere a qualcuno o di fare cose per qualcuno. Per questo cerchiamo sempre di fare qualcosa di nuovo, come abbiamo fatto con “L’imbarazzo della scelta”, dell’anno scorso, che è stato il nostro unico disco in italiano».

Questa volta qual è la novità?

«“Unbecoming” è il nostro settimo album, con cui siamo tornati all’inglese, e stavolta la novità sta nel fatto che è diviso in due parti, come i vecchi Lp, che avevano il lato A e il lato B: la prima è registrata in studio in presa diretta ed è più rock’n’roll, anche se quando parlo di rock’n’roll a me viene in mente Paul Weller del periodo Style Council, quindi rock’n’roll per modo di dire. Nella seconda parte, invece, ho cercato suoni nuovi, pop, dance, acustici e altro, usando anche la voce femminile di Paola Venturi al posto della mia».

Le due parti non appaiono così diverse, anzi, sembrano piuttosto armoniche.

«Se è così ne sono felice, e per quanto riguarda i suoni è sicuramente frutto del lavoro del produttore Franco Naddei, con cui collaboro da tempo. A livello di scrittura, invece, mi sono reso conto che io, ma penso anche gli altri autori, alla fine ho tre o quattro modelli di scrittura a cui sono legato, che restano uguali nel tempo. Possiamo aggiungere o togliere qualche elemento, ma la struttura è più o meno sempre quella».

Lei ha un ruolo preminente, essendo autore di tutti i brani, e perno della formazione nel tempo: considera Moro & The Silent Revolution una vera band, o un progetto semi-solistico?

«In effetti è una formazione variabile, che in passato si basava quasi esclusivamente sul mio lavoro, ma in “Unbecoming” abbiamo lavorato più collegialmente, soprattutto nella prima parte, avvalendoci anche di collaboratori esterni dove ne sentivamo la necessità. Oggigiorno, soprattutto dal vivo, tutti i gruppi sono “modulari”, perché le leggi del mercato impongono di variare la formazione in base alle esigenze di ogni concerto».

Quali sono i suoi riferimenti artistici?

«I chitarristi e cantautori inglesi degli anni ’80, come The The e Paul Weller, e band come Housemartins e The Smiths, che poi si rifacevano a quelli di vent’anni prima, come Crosby, Stills & Nash».

Il ritorno alla lingua inglese deriva da questo?

«Il disco in italiano era un tentativo di scrittura meno banale di quel che si sente in giro cantato in italiano, ma il risultato è stato un disco di impianto inglese con testi italiani. Ho capito quindi che mi viene più naturale scrivere e cantare in inglese».

Moro & The Silent Revolution saranno dal vivo all’Hobo’s di Rimini domani, 30 settembre.

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