Monty Banks: la star del cinema che portò Hollywood a Cesena

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È bello tornare al glamour antico del cinema, e ripensare a un romagnolo che visse il sogno della prima Hollywood in bianco e nero. Mario Bianchi da Cesena (1897-1950) negli anni Venti del Novecento diventò Monty Banks, celebrità del cinema muto, protagonista di comiche che interpretava con baffetti ed estrema agilità, capace di salti e acrobazie senza bisogno di controfigure. Divenuto ricco e famoso, volle restituire un pizzico di quel mondo scintillante alla sua gente. Nei panni di zio d’America acquistò terreni a Cesena, fece doni a parenti e conoscenti e, sul finire degli anni Trenta, fece costruire una villa che racchiudeva il sogno. Era Villa Bianchi, sulla prima collina di Ponte Abbadesse, in una zona immersa nel verde chiamata Belvedere. Nell’estate 2020 è tornata all’antico splendore col nome di Villa Monty Banks dopo un restauro che l’ha trasformata in agriturismo di lusso. L’elegante manufatto spinge a ricordare questo personaggio unico, che se ne andò di casa a 15 anni, scalpitante di scoprire il mondo. È una storia famosa in Romagna quella di Monty Banks; di recente l’hanno rievocata due cesenati: lo storico Franco Spazzoli, online sulla pagina di “Cesena di una volta”, e su carta Mario Mercuriali,autore del freschissimo libretto “Memorie di Belvedere”.

Memorie di Belvedere

Mercuriali è un discendente dell’attore; 74 anni, ex insegnante e preside liceale, è figlio di una cugina dell’attore amata come sorella. Da bambino l’ex preside conobbe questo zio d’America; ancora oggi resta indelebile il ricordo umano intriso dell’atmosfera di Villa Bianchi. Nel suo “Memorie di Belvedere” la storia dello zio rivive nel nipote attraverso gli affetti che Bianchi mantenne coi familiari, anche dopo la morte, grazie alla moglie Gracie Fields. Scomparso l’attore infatti, negli anni Cinquanta il Belvedere divenne «la villa della Gresci», con s romagnola.

«Con il mio breve scritto – dice Mercuriali – desidero evocare quella memoria che produce e conserva «voci del cuore e della mente», come scrisse Zina Righi. Io nato nel 1946, lui morto nel 1950; porto lo stesso nome di lui che mi tenne a battesimo. Ancora oggi lo ricordo sorridente; chino su di me, toglie dal bocchino di bachelite nera la sigaretta dimezzata, la infila nel fumaiolo della mia locomotiva e mi dice: “con questa andrà più forte!”. Ricordo automobili di lusso, signore con stole di pelo chiaro, risate e parole a me incomprensibili: stasera c’è una festa alla Villa! E poi la tragedia: un trillo di telefono, un grido, concitazione, volti disperati. Una sorella mi afferra le spalle in lacrime e mi dice: è morto lo zio, è morto lo zio Mario!».

L’affetto negli odori

In “Memorie di Belvedere” lo scrittore prova a fare sentire odori e profumi che la villa emanava all’arrivo dello zio del cinema; scrive di un «tenue speziato sentore di Turmac, di intensa fragranza di acqua di colonia. A tavola il profumo della ciambella e l’albana di Bartolini; e poi misteriosi frutti gialli, a noi sconosciute arance grosse e amare che chiamavano “pompelmi”. C’erano ali di pollo con la pelle, perché quello prediligevano, con insalata a foglia larga. Una volta sola quel “crème caramel” di cui ero ghiotto».

Un provinciale alla conquista
del cinema

La carriera del coraggioso Mario Bianchi cominciò a modellarsi dopo i primi anni di stenti a Londra, quando a 17 anni sbarcò a New York; le sue esibizioni da ballerino “eccentrico”, capace di muoversi con fare disarticolato da marionetta, avevano colpito qualche osservatore dello spettacolo, che gli suggerì di varcare l’Oceano. Da New York arrivò a Los Angeles, in una già fiorente Hollywood. Cameriere, un approccio alla boxe, fino alle prime particine. Mario era bravo e si faceva benvolere. Quel nuovo mondo lo portò a conoscere i fratelli Warner (quelli della Warner Bros) passati da esercenti di sale a ricchi produttori; ebbe contatti con Larry Semon, il Ridolini italiano, e tra il 1917 e il ’18 cominciò ad affermarsi nelle comiche.

Vari gli pseudonimi che adottò prima del definitivo Monty Banks, derivato forse da “mountebanks” (saltimbanco). Tra il 1920 e il ’24 il suo nome spiccò in 43 cortometraggi di cui purtroppo pochissimi arrivati a noi; fu in lungometraggi e in recensioni di giornali, sempre positive nei suoi confronti.

Con l’avvento del sonoro si reinventò regista e produttore fondando la Monty Banks Production. Nel 1941 diresse i mitici Stan Laurel e Oliver Hardy (Stanlio e Ollio) nel loro ultimo film “Great guns” (Ciao amici); fu persino nel cast di “Sangue e arena” con Tyron Power e Rita Hayworth. Di lui il critico Jean-Jacques Courdec scrisse: «Monty Banks riuscì nel felice matrimonio tra slapstick e comico di situazione, potrebbe costituire l’anello mancante che collega il cinema comico classico alla commedia americana sofisticata di Capra, McCarey e anche Preston Sturges».

Le mogli

Nel 1930 conobbe sul set l’attrice Gladys Frazin che sposò; lei aveva lasciato Leo Lowenstein, imparentato con i banchieri Rothschild. L’unione tra Gladys e Monty fu però breve e nel 1932 divorziarono.

Tragica fu in seguito la fine dell’attrice, che si suicidò nel 1939. Mario apprese la notizia con sconforto, proprio quando il suo cuore si approcciava alla nuova unione con l’attrice inglese Gracie Fields. L’aveva diretta nel 1936 nel film “Queen of hearts” (Regina di cuori), facendo risaltare le doti recitative di Gracie, fino ad allora offuscate dalla attitudine al canto. La critica sottolineò la riuscita interpretazione, così come la capacità di Monty Banks nel metterla in luce.

I due si sposarono nel 1940 a Santa Monica, la luna di miele però fu in Italia, nell’assolata Capri. L’isola partenopea sarebbe diventata dimora della vita per l’attrice; a Capri aveva acquistato casa che trasformò nell’albergo di lusso “La canzone del mare”. Gracie morirà proprio a Capri nel 1979, a 81 anni.

Monty Banks

I giorni di Monty Banks si conclusero presto e all’improvviso, nel gennaio 1950. L’attore morì di infarto ad Arona, su di un treno che lo avrebbe riportato a Cesena. Aveva solo 52 anni. Al di là della biografia, è giusto aggiungere che si distinse per un divismo umano distante dallo stile dannato hollywoodiano. Fu assennato amministratore dei suoi beni, generoso, equilibrato nei momenti belli e brutti della vita; si fece benvolere per spirito gioviale, intraprendente, positivo, forte della simpatia che la romagnolità gli aveva donato.

Un’estate da sogno

L’autore riporta anche un’immagine da sogno americano attraverso il ricordo di Maria Paola Mercuriali, sua sorella maggiore. Da ragazzina vide coi suoi occhi il mondo patinato di Villa Belvedere: «Nell’estate 1952, zia Gracie ospitò Maria Paola nella casa di Capri dove passavano personaggi di fama. Fra i tanti, vide re Faruk d’Egitto, Greta Garbo, Noël Coward, Sarah Churchill, Maria Callas e Aristotele Onassis, John e Jacqueline Kennedy, Christian Barnard. Assistette pure alla visita di Errol Flynn, e a quella dell’Aga Khan Aly accompagnato dall’affascinante consorte Rita Hayworth».

Fu una estate incredibile per la ragazzina che, tornata a casa, poté davvero raccontare «c’ero anch’io dentro al sogno».

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