"Mio fratello morì sull'Italicus. Vogliamo la verità sulla strage"

Forlì

FORLI'. «Nella giustizia non credo più, non ci conto più. Perché i veri responsabili di quella strage probabilmente o sono già morti o sono troppo vecchi per scontare una eventuale pena. Quel che mi dà il tormento invece è la mancanza della verità. Ancora oggi, quarantasei anni dopo». Franco Sirotti aveva 14 anni quando suo fratello Silver, capotreno delle Ferrovie dello Stato, morì nella strage dell’Italicus il 4 agosto del 1974. Silver si era salvato dall’esplosione. Si gettò tra le fiamme, imbracciando solo un estintore, per tentare di soccorrere i passeggeri rimasti nel convoglio. Qualcuno gli deve la vita. Una “medaglia” più preziosa di quella al valor civile che gli fu assegnata alla memoria poco meno di un anno dopo. Franco, forlivese, ex arbitro professionista in serie A, ha avuto l’esistenza segnata da quel dramma. Ieri mattina era a Bologna, prima alla commemorazione dei 40 anni della strage della stazione, poi alla cerimonia che ha ricordato le vittime di San Benedetto Val di Sambro.
«Grazie al lavoro certosino dell’Associazione familiari delle vittime del 2 agosto su quella strage speriamo possano aprirsi spiragli di verità anche per l’Italicus. Se si trovassero i mandanti ci si potrebbe arrivare».


Sirotti, domani saranno passati 46 anni. Lei crede che ci si arriverà mai a rompere questo muro?
«A volte me lo chiedo: riuscirò prima di morire a sapere come è andata davvero? Spero di sì. E non tanto per me ma per mio figlio e per la storia di questo Paese. Perché quegli anni hanno destabilizzato l’Italia di allora e delle generazioni che sono venute dopo».
Lo ricorda quel giorno?
«Sì. Tutti i particolari. Come se fosse ora. Mio padre era morto da pochi mesi. Mia madre uscì di casa alle otto per andare al cimitero. Era un po’ preoccupata perché Silver ancora non era tornato e aveva sentito di un incidente ferroviario. Io rimasi a casa da solo e vidi arrivare una Fiat Abarth 112 beige dalla quale scese il capo stazione di Forlì in divisa. Suonò alla porta e chiese se mia madre era in casa. Disse quello che era successo e raccontò che Silver non si trovava. Ricordo la sua commozione nel parlare con me. Poi la speranza flebile dei giorni seguenti. Qualcuno da quel rogo era riuscito a sfuggire. Ma le testimonianze erano fin troppo chiare. Lo avevano visto su un marciapiedi prendere un estintore. Poi due agenti avevano raccontato di aver tentato di fermarlo ma lui si era diretto comunque verso quel treno in fiamme. Qualche giorno dopo ci fu il riconoscimento al centro di medicina legale di via Irnerio a Bologna. Ero minorenne ma riuscì comunque a entrare. Uno strazio. Ricordo quei corpi carbonizzati, mutilati. Il fuoco li aveva fatti diventare metà di quel che erano. Sono passati 46 anni. Tanti mi sono stati vicino. Ricordo una frase più delle altre: col tempo il dolore passerà. Non è così. Non si dimentica la morte di un ragazzo e di tate altre persone innocenti, le loro vite spezzate in quel modo. Finché non avremo verità non sarà possibile fare pace con tutto questo».


Ustica, il 2 agosto, piazza Fontana. Non trova che quella dell’Italicus sia la strage di cui si parla meno?
«Sì. In passato ci è stato chiesto di costituirci parte civile nei processi che si sono succeduti. Dovrebbe essere lo Stato a farlo prima di noi. Invece abbiamo appurato che su questa vicenda aleggia l’ombra di apparati collusi e logge massoniche».
Sirotti, che rapporto aveva con suo fratello Silver?
«Splendido. Aveva dieci anni più di me. Io 14 e lui ancora 24. Mio padre era mancato e lui era la mia guida. Si era diplomato all’istituto tecnico di Forlì e aveva trovato lavoro nelle Ferrovie ma voleva laurearsi. Così si era iscritto a ingegneria e aveva sostenuto otto esami, tutti passati a pieni voti. Per me era un modello e lo infastidiva che io preferissi giocare al calcio… Per dirle quanto teneva alla mia formazione, un anno al primo quadrimestre rimediai cinque o sei insufficienze. La mamma lo sapeva ma non gli disse nulla. Così lui, insospettito perché la pagella non arrivava mai, andò a scuola e scoprì come stavano le cose. Ricordo ancora i quattro schiaffi nelle cosce che mi rifilò… Da quel momento in poi al pomeriggio mi chiuse a chiave nello studiolo. Finì per applicarmi e prendere bei voti….».
Un esempio, insomma.
«Lo conferma come è morto. Una ragazza che purtroppo ora è morta, Marisa Russo, mi fece avere pagine del suo diario in cui raccontava di come Silver l’aveva salvata, si era gettato su di lei proteggendola da una vampata di fuoco. Era così, un ragazzo da libro Cuore. Oggi a maggior ragione la sua storia andrebbe valorizzata. Cosa mi ha lasciato? Il valore più bello: l’altruismo. Oggi molti si girano dall’altra parte di fronte a chi soffre. Lui non si è mai voltato».

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