Milano Marittima, reagisce ai vandali in spiaggia, titolare a processo: “Mi insultavano buttando i lettini nel canalino”

«Di danni ne ho avuti zero. Quel che mi ha colpito di questi ragazzi è stata la sfrontatezza, anche davanti ai carabinieri. Quella notte il loro divertimento ero io, era chiamarmi “vecchio coglione” mentre buttavano ombrelloni e lettini del Bicio Papao nel canalino». Parla in tribunale Walter Meoni, titolare dello stabilimento balneare di Milano Marittima. In realtà, non è la vittima, bensì l’imputato. È accusato insieme a un ex dipendente 43enne di minacce e lesioni aggravate indirizzate verso un gruppetto di ragazzi all’epoca minorenni.
Fatti dell’estate 2020. Ricordate? Quella delle disposizioni anti-covid e dell’ondata di giovani riversatisi sulla riviera fra notti brave, rise e vandalismi. Ecco. Ieri Meoni - difeso dall’avvocato Fabrizio Briganti - ha avuto l’occasione di dire la sua rispondendo alle domande del vice procuratore onorario Adolfo Fabiani nel corso del processo davanti al giudice Tommaso Paone.
La notte prima
L’episodio risale al 5 luglio di cinque anni fa, ma è strettamente collegato a un altro fatto avvenuto la notte precedente. «Intervenimmo io e il mio collaboratore perché dei giovani avevano divelto lettini e ombrelloni, li lanciavano nel canalino delle saline. Ci trovammo davanti una ventina di ragazzi. Alcuni di loro scapparono, altri rimasero lì come nulla fosse, ad attendere l’arrivo dei carabinieri, intanto continuavano a insultarmi. Rimanemmo lì fino alle 6 del mattino a recuperare il materiale dal canale, lavarlo e rimettere a posto la spiaggia. Dopo aver lavorato dalle 7 del mattino non è proprio il massimo».
Poteva finire lì. Invece la notte successiva il viavai notturno dalla spiaggia si ripropose. Anche per questo il titolare dell’attività aveva cercato di risolvere il problema - come peraltro anche altri colleghi - presidiando l’ingresso dello stabilimento. Arriviamo così alla notte successiva, quella menzionata nel capo d’accusa. Meoni e il dipendente rientravano dalla cena. Vedendo all’ingresso dello stabilimento un gruppo di ragazzini e riconoscendo tra loro alcuni già visti il giorno precedente, si affrettarono a frapporsi tra loro e lo stabilimento, per sbarrare l’accesso. «Continuavano a insultare, sempre le stesse frasi. Abbiamo detto di andarsene, ma volevano entrare a tutti i costi. Noi volevamo chiudere e andare a casa. Ci siamo messi davanti all’ingresso in tre, con le mani in avanti, per impedirgli di entrare». Spintoni e parolacce, lo ammette il titolare, «quelli ci sono stati», ma assicura, «nessuna violenza, non li abbiamo picchiati». Calci, pugni, ragazzini presi di peso e scagliati contro una siepe, tutto inventato? «Può essere», aggiunge l’imputato, spendendosi anche in difesa dell’ex dipendente, assistito dall’avvocato Nicola Babini.
Le parti civili
Fra i giovani, tre si sono costituiti parte civile con l’avvocato Romagnoli. A sentir loro, stavano cercando un cellulare smarrito e volevano solo recuperare le biciclette per oltrepassare il canalino e andare a Milano Marittima. Il titolare del Bicio Papao spiega anche il motivo che lo ha portato a sporgere denuncia, una decina di giorni più tardi. «Volevo tutelarmi e cercare di evitare che accadesse di nuovo. Ma non me la sono sentita di scrivere i nomi e i cognomi di ragazzini di 14-15 anni». Fra questi, fu facile arrivare a un ragazzo, cugino del bagnino dello stabilimento. Quella notte infatti inviò alcuni messaggi al parente, che si trovava al Pineta con il figlio del titolare, per informarlo della bagarre in corso: “Speravo che fossi qui e che uscissi per dire che io non c’entravo nulla”, avrebbe scritto.
«Non è un paese per giovani»
«Il problema è che a Milano Marittima, per i ragazzi di quell’età, non c’è niente», commenta critico Meoni. «Si trovano in spiaggia, si muovono in branco, si fanno forza l’un l’altro e poi succedono queste cose». In quei giorni la pensavano allo stesso modo anche altri imprenditori. Uno di questi riferì una frase sentita quella stessa sera, proferita da un gruppetto non meglio precisato: “Andiamo a spaccare tutto al Bicio Papao”. E non è finita, aggiunge l’imputato replicando a presunti tagli refertati e finiti in denuncia: «Questi ragazzini filmavano tutto, perché non hanno filmato le ferite? Oggi spendo 8mila euro al mese in sicurezza, solo per evitare che arrivino dei minorenni a distruggerti lo stabilimento. È una follia.»