Michela Cescon, la mia nuova vita da attrice a regista

Michela Cescon balzò alla ribalta cinematografica con Primo amore di Matteo Garrone (2004); teatralmente in Romagna è stata applaudita più volte come attrice, da Giulietta degli spiriti (Longiano 2004) a Leonilde dedicato a Nilde Iotti (Cesena 2013), a Il testamento di Maria (Sogliano 2016). Negli ultimi anni però si è tolta dal centro del palcoscenico, per passare dietro alle quinte come produttrice e regista. Così torna al Bonci dirigendo L’attesa. La sua storia d’artista ha avuto un percorso intenso, importante e indipendente. Un brutto incidente, che la costrinse a letto per mesi, fece nascere in lei il desiderio di fare l’attrice. Fu allieva di Luca Ronconi con cui cominciò una bella carriera ma poi lasciò il maestro. Ancora da allieva ronconiana, vide L’attesa con la regia di Cristina Pezzoli.

«Mi arrivò un’energia potentissima, che mi convinse con più forza di fare questo mestiere. Il periodo del lockdown me lo ha fatto tornare alla mente, pensando a due donne rinchiuse in una stanza per nove mesi in “attesa”. Come unici suoni hanno quelli del bosco che le circonda».

E domani esce anche il testo “L’attesa” di Remo Binosi per La nave di Teseo. Michela, come ha scelto le sue attrici?

«Stimo molto Anna Foglietta e Paola Minaccioni, avevo desiderio di portarle in scena con una performance paritaria, mostrandole al di fuori dai cliché che spesso il cinema ha scelto per loro. Per mostrare che sono bravissime attrici e dare loro quelle possibilità che il teatro può offrire in più, rispetto al cinema».

Come ha progettato “L’attesa”?

«L’intuizione giusta per loro è stata di non metterle in scena in jeans e maglietta, ma con una maschera per renderle più libere nel recitare. Maschera che in questo caso è il costume d’epoca realizzato da Giovanna Buzzi che crea una distanza rispetto a come il pubblico le conosce. La scenografia con muri che si alzano e abbassano crea vuoti, indicativi della mente che si apre, i ruoli si perdono, il rapporto diventa vero. Considero la mia una regia presente, con una direzione chiara, pulita, accurata, che parte dalle caratteristiche delle persone».

Ci racconti di questo suo passaggio alla regia.

«Credo sia fisiologico, non capriccioso, è arrivato in maniera morbida, forse sarebbe potuto arrivare prima, se avessi preso coraggio. Oggi preferisco passare agli altri quello che ho capito senza espormi fisicamente. La regia mi permette di aprirmi a tanti interessi: spazio, architettura, testo, luci... Qui ho scelto di lavorare con due attrici, ho scelto un testo per loro, l’ho messo in scena, mettendo insieme tante cose di me che facendo l’attrice non riuscivo a fare».

Vale anche per il cinema?

«Sì, dopo il primo corto Come un soffio (2010), è arrivato il lungometraggio Occhi blu, ora sto cominciando il secondo. È una seconda epoca per me».

Parliamo di donne: che dice delle pari opportunità a teatro?

«Sono critica, noto un teatro ancora molto maschile, mancante di personalità femminili nelle cariche di maggiore importanza, se non in pochi casi e con scarsi finanziamenti a disposizione. Nel cinema italiano sono stati fatti passi maggiori rispetto al teatro. Penso sia colpa anche nostra; dobbiamo presentare progetti, non lamentarci sempre delle scarse opportunità, ma trovarcele. Perciò in maniera anche dura e cinica, auguro alle giovani attrici non di aspettare che qualcuno trovi un’idea per loro, ma di trovarla da sé».

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