Metadone uscito dal Sert di Ravenna. I motivi dell'assoluzione

Lugo

Non c’è dubbio che la paziente che si era rivolta al Sert fosse tossicodipendente. E non c’è prova che metta in dubbio la validità della terapia decisa dalla psichiatra che l’aveva in cura. Nemmeno di fronte alla realtà dei fatti: e cioè che almeno due fialette di metadone fornite nel 2017 dal Servizio per le tossicodipendenze di Ravenna a Beatrice Marani siano poi state spacciate dalla ragazza all’epoca 20enne all’amico 19enne Matteo Ballardini, che assumendole con un mix di psicofarmaci morì di overdose la notte tra l’11 e il 12 aprile. E’ questo il fulcro della sentenza che lo scorso 17 marzo ha assolto Monica Venturini, dottoressa del Sert, e con lei anche la paziente 20enne e la zia di quest’ultima, Cosetta Marani, che ritirava per conto della nipote le dosi di metadone.

Le accuse

Nelle 9 pagine delle motivazioni redatte dal giudice estensore Andrea Chibelli, il collegio penale presieduto dal giudice Cecilia Calandra (a latere Antonella Guidomei) trova spazio il fulcro delle contestazioni che avevano portato il pm Marilù Gattelli a chiedere la condanna a sei anni per tutte le imputate, accusate a vario titolo di falso, prescrizione abusiva di stupefacenti e peculato. Secondo quanto contestato, la 20enne era stata presa in carico al Sert di Ravenna (pur essendo residente a Lugo) e inserita nel sistema dalla dottoressa Venturini in “super anonimato”, senza informare i colleghi.

La terapia veniva spesso ritirata dalla zia della ragazza, pur senza delega scritta; infine il metadone sarebbe stato distribuito per almeno 4 mesi senza costanti esami tossicologici, ritenuti necessari per controllare l’efficacia della terapia. Il tutto, per l’accusa, assecondando un trattamento di favore legato al fatto che Beatrice Marani era figlia di operatori sanitari, compresa la zia, a suo tempo infermiera a Imola.

Il fulcro dell’assoluzione

La psichiatra, assistita dalle avvocate Alessandra Marinelli e Sandra Vannucci, si era difesa sostenendo la regolarità del percorso terapeutico scelto; lo stesso aveva fatto il legale di zia e nipote, Fabrizio Capucci, insistendo anche sul fatto che la ragazza si fosse rivolta a Ravenna alla luce di particolari conflittualità familiari; la parente l’avrebbe sostituita nel ritirare le dosi di metadone in quanto la 20enne era sprovvista di patente.

Per i giudici il punto cruciale è che la terapia è libera, ampia e discrezionale. «Il medico non applica scienze esatte che conducono a un risultato certo e univoco, ma formula un giudizio tecnico connotato da un ineliminabile margine di opinabilità». E nel caso specifico non è stata dimostrata «la sua palese erroneità o inattendibilità». Inoltre, ravvisano i giudici, nel corso del dibattimento è emerso come «le prescrizioni fossero state precedute dalla redazione di un programma terapeutico individualizzato» e che «il fine delle prescrizioni non potesse che concernere» la «disassuefazione dall’uso di sostanze stupefacenti». In altre parole «non risulta smentito da prova contraria che la condotta della Venturini sia fuoriuscita dalla possibile discrezionalità afferente la libertà di terapia del medico o abbia superato le dosi previste nella scheda tecnica della terapia farmacologica». Poco importa, dunque, se proprio due di quelle fialette date dal Sert siano state poi consumate dall’amico della giovane, portandolo alla morte. Gli elementi portati dall’accusa, concludono le motivazioni, conducono «al più» verso «profili di negligente trascuratezza nella gestione terapeutico-amministrativa della paziente da parte dei soggetti coinvolti nella vicenda», con «eventuale rilievo disciplinare».

Da rifare il processo principale

Singolare la coincidenza temporale: le motivazioni dell’assoluzione sono state depositate a ridosso dell’udienza in Cassazione per i quattro ragazzi (tra i quali appunto anche Beatrice Marani), accusati per la morte di “Balla”. Sentenza che come noto ha annullato il giudizio di secondo grado, che aveva ridotto a circa un terzo le pene per gli imputati riqualificando il reato di omicidio a morte come conseguenza di altro reato e omissione di soccorso. Una decisione che ora darà il via a un nuovo processo in appello che potrebbe andare avanti in parallelo con l’eventuale ricorso della Procura sulle assoluzioni per il “caso metadone del Sert”.

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