Mercadini a San Mauro con il suo Dante

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Dopo Leonardo da Vinci, anche il sommo poeta Dante Alighieri ha interessato, al di là delle attuali celebrazioni, l’autore, affabulatore, poeta Roberto Mercadini (1978) da Sala di Cesenatico, pronto stasera alle 21.30 a dare il via a “Revèrso estate” cartellone teatrale sotto le stelle di Villa Torlonia. Lo fa con la novità a cui sta lavorando da molti mesi: Dante. Più nobile è il volgare monologo che avrebbe dovuto debuttare nel teatro al chiuso a fine dicembre 2020, ma che la pandemia ha costretto a un lungo posticipo.

In questi mesi Mercadini ha così potuto mettere a punto al meglio questo suo 26° monologo e farlo rodare in alcune anteprime nel teatro interno alla Villa pascoliana. In questo nuovo lavoro il poeta romagnolo vede una concordanza con il luogo pascoliano che lo ospita: «Antico, moderno, essenziale come lo è la parola».

Parola e linguaggio

Parola e linguaggio sono al centro della personale lettura della Divina Commedia: «Quando affrontai Dante a 28 anni – ha dichiarato l’attore – mi colpì la forza e la sua potenza espressiva. Oggi credo che la sua più significativa attualità, coinvolgente per tutti, risieda nel linguaggio. Tutti noi parliamo, ascoltiamo chi ci parla, siamo feriti da parole offensive e grati per parole di gentilezza, affetto, amore. Perciò ho indagato Dante sotto questo profilo, mi sono letto tutto il “De Vulgarieloquentia”, il suo trattato sulla lingua».

Il Dante di Mercadini

«Ho visto in Dante una persona innamorata della parola, ossessionata dal linguaggio. Ricercando, mi si sono rivelate cose nuove anche nei canti più risaputi. Nella Commedia ad esempio c’è un brano in occitano, lingua antica della Francia meridionale, ci sono parole in ebraico, in latino, e addirittura 3 lingue immaginarie! È vero che è lui il padre della lingua italiana, ma riempie di lingue diverse la sua Commedia!».

Alcuni canti

«Sulla soglia del 9° cerchio (Canto XXXI dell’Inferno, nel Pozzo dei Giganti); il gigante biblico Nimrod, che Dante chiama Nembrot, dice parole che non appartengono ad alcuna lingua. Virgilio dice a Dante “lascialo stare non parlamo a voto”. Gli spiega che Nembrot ha fatto erigere la Torre di Babele che ha moltiplicatole lingue e l’incomprensione degli uomini. La sua punizione è dunque parlare una lingua che nessuno capisce, e non capire nessun’altra lingua. Dante immagina cioè come pena terribile una menomazione linguistica. Quando invece chiama Paolo e Francesca (canto V dell’Inferno) dice: “Mossi la voce”; il linguaggio è qualcosa che si muove, che agisce. Nell’VIII cielo del Paradiso incontra Adamo, e gli chiede quale lingua parlava nel paradiso terrestre. Il Conte Ugolino poi riconosce la parlata di Dante come “fiorentina” rispetto alla sua pisana; nel canto XXVII addirittura San Pietro parla con un’invettiva contro la corruzione della chiesa che è, per me, il punto più violento di tutta la Divina Commedia. Diventa rosso sangue, altro che Paradiso soporifero!».

Biglietti esauriti.

Info: 370 3685093

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