Memoria, Matteo Corradini e la storia di Virginia: l'intervista

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“Per chi splende questo lume” (Rizzoli) è il titolo dell’ultimo, intenso e drammatico libro di Matteo Corradini (Borgonovo Val Tidone, 1975), scrittore ebraista da anni impegnato nell’ambito della didattica della memoria, con alle spalle la pubblicazione di numerosi testi, l’organizzazione di convegni, spettacoli ed eventi incentrati sulla Shoah e sulla necessità di non smettere di ricordare una delle pagine più dolorose della Storia.

Nel suo ultimo lavoro – nuovo tassello del suo percorso di documentazione, divulgazione e riflessione critica – l’autore dà voce a Virginia Gattegno, ebrea novantottenne residente a Venezia, internata nel 1944 ad Auschwitz con il numero di matricola A-2434 («Era il mio nome per i nazisti») e sopravvissuta agli orrori di quella che fu una delle pagine più nere della Storia contemporanea: la Shoah.

Il libro, pensato per lettori a partire dai 10 anni, pone una innanzi all’altra due figure, che si ritrovano per caso in una stanza d’ospedale: Fatima, bimba curiosa in attesa di un medico che la liberi dalla sardina che si è conficcata inavvertitamente nel naso, e Virginia, anziana che ha avuto un malore.

Quell’incontro fortuito diventa per entrambe un’importante opportunità di consapevolezza e scoperta – per la giovanissima («E dove li hai imparati i numeri in tedesco?», «In un posto dove era meglio impararli in fretta») – e di ricordo e riflessione, per la donna («Non feci come quel signore [...] che disse al figlio che il numero sul braccio [...] era il numero di telefono della sua prima fidanzata») che, attraverso il racconto, ripercorre tutta la sua vita: la nascita a Roma nel 1923, l’infanzia, il trasferimento a Rodi, a tredici anni, in occasione della nomina del padre come direttore della scuola ebraica dell’isola, fino ad arrivare all’internamento ad Auschwitz (il cui resoconto è evidenziato da pagine scritte in bianco su sfondo nero), all’età di ventun anni – dove per sopravvivere e superare le selezioni innanzi alle camere a gas era necessario cercare di «sembrare forti» – e a tutto l’orrore che ne conseguì («ci volevano muti come tombe perché tombe, per loro, eravamo già»), per concludersi con la liberazione e gli avvenimenti che visse nel corso della sua esistenza.

Corradini, quale è stata l’esegesi di quest’ultimo lavoro, cosa prova innanzi a esso e da dove è sorta la decisione di raccontare la storia di Virginia?

«Frequento piuttosto spesso la Comunità ebraica di Venezia, dove ho amici cari. E un po’ per volta sono entrato nella cerchia di Virginia Gattegno, soprattutto grazie alla figlia, Donatella Cipolato. Virginia non aveva mai avuto un libro autobiografico tutto per sé, e tra noi si è creata la confidenza giusta per scriverne uno. Quel che provo di fronte a questo mio nuovo lavoro è un rinnovato spirito di servizio: la storia ci impone di fare un passo indietro, non lungo ma certamente rispettoso. La storia di Virginia mi ha appassionato e commosso. Faccio un esempio: la sua passione per l’acqua e per il mare credo derivi dal suo desiderio di avere un orizzonte lungo, quasi impalpabile, e di continuare a cercarlo. Allo stesso modo avvicinarmi a lei mi ha permesso di allargare il mio orizzonte, comprendere meglio, e da vicino, la forza della memoria».

Virginia racconta di quell’unica volta in cui, mentre aspettava la sua prima bambina, sognò il campo di concentramento («Stavo dando alla luce una persona in un luogo che aveva sperimentato quel buio insopportabile e definitivo. [..] Auschwitz aveva provato a spezzare il filo della vita che di madre in madre portava a noi, qui, oggi») ed è proprio dall’esistenza che continua il suo fluire nonostante gli orrori del passato che si può trarre speranza nel domani, possibile solo a patto che si abbia il coraggio di ricordare e così scongiurare il ripetersi di quanto accaduto.

Da anni è impegnato nell’ambito della didattica della memoria. Cosa significa per lei operare in questo settore, avere a che fare quotidianamente con ricordi così densi di tenebre e quali le modalità attraverso cui i giovani possono essere invitati a riflettere su quanto accaduto?

«Quando mi occupo di Shoah, sono un ospite: per quanto mi possa impegnare e per quanto possa sentirmi parte di un mondo particolare, essere ospiti mi impone responsabilità e precisione. Nella consapevolezza che non potrò provare mai ciò che provavano gli ebrei di un tempo e cosa provano oggi i ragazzi delle scuole quando parlo loro di Shoah. Fare didattica della memoria, però, significa anche intraprendere un viaggio in questa fragilità, nella storia e dentro noi stessi. Non dobbiamo imporre il passato, ma impegnarci in un percorso educativo e sensato, che parli al presente e che possibilmente lo cambi. Certi aspetti di ieri non ci sono più, e per fortuna, ma alcuni meccanismi della storia sono rimasti praticamente identici: occorre riconoscerli, anzitutto, per affrontarli. Il razzismo, per esempio, non è certo finito con la fine della guerra. Ho molta speranza che le nuove generazioni sapranno vivere le relazioni tra persone in modo sensato. Noi adulti possiamo solo cercare di non ostacolarle».

Impreziosito da fotografie di famiglia, dai disegni e dalle poesie di Virginia, il volume è presentato in un tour della memoria tra Francia, Italia, Germania e Repubblica Ceca, che vedrà l’autore anche in Emilia-Romagna.

Matteo Corradini, “Per chi splende questo lume”, Rizzoli, Milano, 2022, pp. 200, euro 16,00

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