Mauro Gurioli racconta Faenza ferita e ritrovata

Archivio

Parti della città cancellate o ferite dalle devastazioni della guerra, simboli del passato e della identità della comunità. Cinquantacinque luoghi da rivedere com’erano prima del 1944 rivivono grazie a Mauro Gurioli in Faenza ritrovata. Storia e immagini della città che la guerra ci tolse (Tempo al Libro), grazie a 148 immagini che li mostrano intatti e a precise sintesi storiche che ne raccontano l’anima: dall’origine, alla distruzione, all’eventuale ricostruzione. E oggi 29 giugno alle 18.30, “Martedì d’estate nel centro storico” si andrà con Gurioli alla scoperta del “Borgo ritrovato” ovvero Borgo Durbecco prima delle distruzioni belliche, con partenza da piazza Lanzoni (ritrovo presso l’edicola) fino a Porta delle chiavi (Info: 0546 061945). Il lavoro di Gurioli è completato da un diario di ciò che accadde a Faenza tra il marzo 1944 e l’aprile 1945 e da “mappe della memoria faentina”, che permettono di localizzare le antiche porte, chiese e campanili, palazzi, caseggiati, sobborghi, opere pubbliche... Un libro per non dimenticare, in collaborazione con l’associazione Fototeca Manfrediana (che dal 2018 cura la riqualificazione dell’archivio, composto da circa 10.000 immagini storiche di Faenza raccolte a partire dagli anni Settanta) e il patrocinio del Comune di Faenza.

Gurioli, come è nato questo prezioso album delle visioni di una “Faenza ritrovata” solo nelle immagini…

«Anni fa acquistai alcune cartoline d’epoca e ne rimasi affascinato, perché mostravano angoli della mia città che non esistevano più. A partire da quelle visioni, mi sono messo sulle tracce della Faenza sparita nei mesi in cui fu sconvolta dal turbine della distruzione bellica, dal 10 marzo 1944 (data in cui cadde il primo spezzone sulla stazione) al 10 aprile 1945 (data in cui cadde l’ultima granata tedesca in città)».

«Mi ha colpito», lei ha aggiunto, «tutto ciò che la guerra ci ha tolto, quello che era stato costruito nell’arco di secoli, ma anche la volontà nella ricostruzione».

«Per questo motivo ho scelto di dedicare il mio libro “a tutto ciò che può essere ricostruito. A tutti coloro che costruiscono, anziché distruggere”. Se da una parte è stato doloroso scoprire quante cose Faenza abbia perso, dall’altro è stato sorprendente vedere come i suoi abitanti abbiano reagito alle distruzioni: per esempio ricostruendo “dov’era e com’era” la torre civica, che è tornata a essere il simbolo della città, ma anche i campanili, il museo delle ceramiche e la biblioteca».

Cosa invece è andato perduto per sempre, anche per incuria e disattenzione?

«Sicuramente la ricostruzione non è stata esente da errori ed è stata pesantemente condizionata dalle tante emergenze che si dovevano risolvere nei primi anni del dopoguerra. Così, non è mai stato ricostruito, per esempio, il campanile dei Servi, che coi suoi 61 metri era l’edificio più alto di Faenza. E sono sparite per sempre Porta Imolese e Porta Montanara, storici ingressi della città. In altri casi, come per il palazzo Borghi-Rossi che si trovava in corso Mazzini, edifici storici in parte recuperabili sono stati demoliti e al loro posto sono sorti alti condomini… ».

In che modo anche le voci, i diari dei testimoni diretti dei bombardamenti, fanno da sfondo corale a questa storia?

«Le testimonianze dirette sono state fondamentali per stilare l’elenco dei luoghi “da ritrovare” e per ricostruirne la storia. I diari di guerra mi hanno proiettato nel 1944 portando alla luce, di pari passo con la distruzione materiale, le grandi sofferenze della popolazione, della gente comune. Anche le 1.013 vittime civili che si contarono a Faenza e alcune delle loro storie trovano voce tra le pagine di “Faenza ritrovata”».

Quale è stato il contributo dell’associazione Fototeca Manfrediana?

«Senza questo ricco materiale iconografico proveniente dall’archivio dell’associazione il libro non sarebbe mai nato e per questo devo ringraziare in particolare Nicola Giada, che mi ha affiancato nella ricerca e individuazione delle foto. Altre fonti importanti sono state la Biblioteca Manfrediana e il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Grazie a queste collaborazioni è stato possibile “ritrovare Faenza” non solo dal punto di vista visivo ma anche in vari aspetti della sua vita civile».

Quali i progetti che partendo da “Faenza ritrovata” mireranno “a diffondere i contenuti”?

«L’idea è quella di portare il libro nelle scuole di Faenza. Mostrare ai giovani materialmente “ciò che la guerra ci tolse” può essere uno dei modi per stimolarli a costruire un futuro di pace».

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