Maturo: se solo ci fosse un po' di interstizio...

Editoriali

Fellini ne ha azzeccate tante, ma una frase particolarmente adatta ai nostri tempi è quella che fa proferire a Paolo Villaggio ne La voce della luna: “Eppure io credo che se ci fosse un po’ di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire”. Oggi basta accendere la televisione e veniamo sommersi da urla, esclamazioni e toni aggressivi. Si alza la voce per zittire l’avversario politico, per imporre le proprie (s)ragioni, per dare un aspetto autorevole ai luoghi comuni. Anche sui social i toni sono sopra le righe: slogan imposti come verità scientifiche, insulti, derisioni.

Sebbene non vi sia audio abbiamo a che fare con vere e proprie grida che fanno male alle orecchie, oltre che agli occhi e un po’ al cuore. Sui voli low cost c’è una sorta di publiphono gracchiante che intima acquisti, sconti e millanta puntualità (altro che la voce rassicurante del compianto Marco Magalotti…). I jingle ti inseguono anche in bagno nei grandi centri commerciali. Voci e musica quando non sfondano, ‘sottofondano’ si potrebbe dire.
L’idea del momento di silenzio di Fellini fa il paio con almeno altre due proposte simili, di un certo spessore.
La prima la dobbiamo al critico d’arte Gillo Dorfles. In molti suoi scritti Dorfles fa l’elogio del silenzio, o meglio dell’intervallo. Laddove vi sono pause, interstizi, interruzioni – dice Dorfles – nasce la creatività. Invece, “l’assenza del silenzio creativo ci obbliga a vivere entro un tempo privo di soste che si trasforma quasi sempre in tempo alienato”. Paradossalmente, è solo con la pausa, con il silenzio, che il rumore può essere compreso. L’interstizio è dunque un tempo ‘obliquo’. Non è un dilatato silenzio né è paragonabile alla quiete cosmica. Per esserci ha bisogno del rumore, anzi al rumore fornisce un senso. Per dare valore al rumore dovremmo fare un po’ di silenzio.
Il secondo spunto che possiamo accostare all’intuizione di Fellini è la teoria dell’accelerazione del sociologo tedesco Hartmut Rosa. Viviamo oggi in un tempo accelerato a causa dei rapidi mutamenti sociali e delle nuove tecnologie. Si pensava che le nuove scoperte, facendoci fare le cose più velocemente, ci avrebbero fatto risparmiare tempo. Invece, semplicemente, ci hanno imposto ritmi più rapidi e ci siamo trovati con la moltiplicazione degli impegni nello stesso lasso di tempo. A livello esistenziale, sembra quasi che si sia alla ricerca di sempre nuove esperienze. Vogliamo riempire le nostre vite di sempre più eventi. Anche perché possiamo condividerli sui social. Dice Rosa che fare tantissime cose ci dà l’illusione di vivere più a lungo, quasi in eterno. Ma Rosa parla anche della ‘decelerazione funzionale’. In alcuni momenti dobbiamo rallentare: dobbiamo fare yoga o meditazione, oppure fare una passeggiata in campagna o sulla ‘palata’ (Rosa non fa questo esempio). Fare una pausa, un ‘silenzio di lavoro’ serve per diventare più produttivi. Quindi anche chi vuole lavorare sempre, deve fare una pausa per lavorare di più.
Spiace dirvelo ma la vostra pausa è finita, tornate al lavoro. O al cellulare.

*Università di Bologna

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui