Maturo: l'isola davanti al bagno che non c'è

Editoriali

Passeggiare o correre sul nuovo lungomare tra Piazzale Kennedy e la Rotonda del Grand Hotel è molto piacevole. Sono tanti i riminesi che a tutte le ore ci transitano per fare sport o semplicemente per chiacchierare con un amico.

Probabilmente, i lunghi mesi di lockdown ci hanno lasciato un’inesauribile voglia di aria fresca e spazi aperti. Le 18.30 sono l’ora di punta per l’ “Isola del wellness”, la palestra a cielo aperto allestita da Technogym davanti al Bagno che non c’è (il 22). Ragazze e ragazzi fanno attività di wellness (cioè ginnastica) sia con gli strumenti sia a corpo libero.
Sono ben organizzati con una grande radio, stile breakdance, che emana musica reggaeton a volume elevato, molto coinvolgente. C’è qualcuno che funge da maestro, sta in centro, vicino alla “radiona”, fa l’esercizio e gli altri lo imitano.
Altri lavorano sugli attrezzi, qualcuno fa un allenamento da boxeur, un altro gruppetto di ragazze si è portato il tappetino. È un raggruppamento spontaneo, giocosamente anarchico, che nasce dal basso e che prende come “scusa” gli attrezzi dell’Isola del wellness e ci impianta un’altra serie di attività. Si tratta di un piccolo e prezioso momento di effervescenza collettiva, molto sana, in cui emergono microrituali, pratiche sociali e segni di distinzione.
Sono questi i luoghi in cui nascono le tendenze e le innovazioni della moda, come sanno coloro che lavorano e studiano al Campus universitario di Rimini. I giovani che frequentano l’Isola del wellness si vestono in modo particolare? Adottano qualche capo di abbigliamento apposta per manifestarsi lì alle 18.30? Un abbigliamento magari non concepito per il wellness?
Ma non si tratta di sola moda. Questi giovani si frequentano fuori dall’Isola? Nasceranno degli amori? Che idee politiche hanno? All’Isola, non si sente parlare solo italiano: chi avrebbe mai detto che due sbarre di acciaio per fare i piegamenti potessero diventare un dispositivo involontario di integrazione sociale?
Ecco, forse si tratta di speculazioni, ma non è la prima volta che luoghi adibiti a una funzione, vedano nelle pratiche sociali concrete dei mutamenti significativi rispetto alla loro “destinazione d’uso”. Forse il Covid-19, questo nemico piccolo, invisibile, metà nome metà numero, sprigionerà effetti che non avremmo immaginato. Intanto, incontriamoci davanti a quel Bagno 22 che non c’è e ascoltiamoci un po’ di reggaeton, alla fine la musica non è troppo alta.

*Docente di Sociologia della salute - Università di Bologna, Campus della Romagna - Visiting professor della Brown University

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