Matteo Gatta ad "Est" con i complimenti di Oliver Stone

Spettacoli

RAVENNA. Dopo il red carpet a Venezia, dopo il successo personale nel ruolo di Pago in “Est. Dittatura last minute” di Antonio Pisu, dopo l’incredulità per i complimenti espressi dal regista Oliver Stone, l’attore Matteo Gatta è tornato alla vita reale, fra Milano e la sua Ravenna. Una vita fatta di progetti teatrali alla ricerca di palcoscenici, di provini e audizioni, sperando chissà, in un secondo film riuscito come il primo che attende ancora l’esito delle sale.
Nato a Ravenna nel 1996, Matteo Gatta si è formato alla scuola del Piccolo di Milano: «Sono entrato nel 2014 – racconta l’attore –, fu il “nostro” Simone Toni di Forlimpopoli a prepararmi. Venni scelto da Luca Ronconi, il maestro per il quale avevo scelto il Piccolo, ma dopo tre mesi morì. Gli succedette Carmelo Rifici, con cui ho fatto due anni di scuola meravigliosi. Subito dopo però siamo stati gettati nel mercato, tremendo».
Gatta in “Est” ha interpretato il ruolo di Maurizio Paganelli, il cesenate che, insieme agli amici Andrea Riceputi “Rice” ed Enrico Boschi “Bibi”, visse un’incredibile esperienza di viaggio on the road tra Ungheria e Romania nell’ottobre 1989, alla vigilia della caduta del regime di Ceausescu e della caduta del Muro di Berlino. Una storia divenuta libro e film girato a Cesena e lungo le tappe di quel viaggio.
Come è stato, Matteo, a 24 anni respirare il successo a Venezia?
«È stato incredibile, continuavo a ripetermi di non montarmi la testa, è un attimo pensare “sono arrivato” quando a un festival così importante si complimentano con te».
Che dire della première in sala con Oliver Stone?
«Ero felicemente incredulo; ancor più quando in una video intervista il maestro lo ha dichiarato film “interessante, affascinante, semplice, bello». Jacopo Costantini (nel film Bibi) ed io ci siamo scattati un selfie da fan con Stone, con mascherina. Niente più, però è stato un incontro veramente figo».
Dei tre protagonisti lei è stato particolarmente elogiato per l’interpretazione di Pago (Maurizio Paganelli), anche dal magazine Elle. com
«Mi hanno detto “sei stato molto naturale, nessuna forzatura nel personaggio, molto credibile”. Quello di Pago è il ruolo del punto di vista, è la voce narrante, il più introverso, silenzioso, ho cercato di restituirne l’inquietudine. E pensare che la mia unica esperienza cinematografica era stata una settimana di Laboratorio alla Scuola di teatro con Pupi Avati».
Come ci è finito nel cast di “Est”?
«Appena uscito dalla Scuola ho cercato un’agenzia, anche per contrastare il panico dell’attore quando si trova con il calendario vuoto. Provenendo dal Piccolo mi hanno risposto agenti importanti, fra cui Danilo Razzi che mi ha proposto per il provino di “Est”. Appena 10 minuti con il regista Antonio Pisu; ed è stato proprio lui a telefonarmi e a dirmi: “Ti ho preso”. Era il mio primo provino, non ci potevo credere!».
A un anno dal ciak, cosa porta con sé dell’esperienza del suo primo set?
«È l’amicizia con Lodo (Guenzi), Jacopo (Costantini), Antonio (Pisu) la cosa più bella che mi porto via; abbiamo perfino dormito nel lettone come nanetti da giardino. Jacopo vive a New York, Lodo non si sa mai dov’è, “me a stag” a Ravenna e ogni tanto a Milano, eppure siamo sempre in contatto. Questa alchimia emerge nel film al punto che ci hanno detto: “Il trio funziona”. Del resto creare legami è la cosa più importante per lavorare bene assieme».
Il film si addentra nella realtà della Guerra fredda, ignorata dalla sua generazione. Come l’ha percepita nella ricostruzione sul set?
«A Bucarest mi sono reso conto che Ceausescu è un tabù, i suoi palazzi non si demoliscono, né si fotografano. È un passato fermo come totem intoccabile perché recente, la ferita è ancora apertissima. Lo contrastano invadendo le strade del centro di un traffico di auto insostenibile, per mostrare uno status di ricchezza, con decine di locali di ogni tipo. Appena fuori però, l’atmosfera è post nucleare».
Come si è trovato con il regista?
«Antonio Pisu è persona e regista meraviglioso. Con noi tre è tornato ragazzino, faceva marachelle. Sembra un sessantenne (ride), anche se ha solo 36 anni. Ho capito che lui e suo padre (l’attore Raffaele Pisu, ndr) erano due persone profondamente diverse. Antonio è un timido, un gentile, persona molto delicata, il padre era più esuberante».
Da ravennate ha pure incontrato il Teatro delle Albe.
«Le Albe sono state la mia famiglia, ci sono nato, cresciuto dopo il Piccolo. Nonostante la filosofia di Marco Martinelli sia quella della “non scuola”, mi hanno accolto, ascoltato, dato possibilità di esprimermi. Sono entrato nel Progetto Dante; l’anno scorso sono stato Oderisi da Gubbio nel Purgatorio, nel 2021 è in programma l’intera trilogia. Ho anche partecipato ai laboratori della Non scuola, e da due anni sono io stesso guida».
Cosa c’è nel suo futuro?
«Vorrei fare girare il mio spettacolo “Amore”, su testo mio per 4 attori, spero che la notorietà del film mi dia una mano. Ho anche un progetto sulla figura di Gramsci, e un altro sul romanzo di Bernhard “Perturbamento”. A Milano lavoro con la compagnia Idiot-Savant. Scrivo tanto, mi piace. Ho un nuovo monologo, e sto pensando di candidarlo al Premio Riccione».

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