Matteo Garrone al Fulgor per raccontare il suo “Io capitano”

«Questo è il cinema di Amarcord?» Sì. «Ma era proprio così?». Beh, proprio così no... «Bello però..».
Prima Rimini, poi via come un razzo a Pesaro, al cinema parrocchiale Loreto. Sorriso contagioso e cordialità con tutti, il regista di Io capitanoMatteo Garrone arriva a Rimini senza codazzi al seguito. Auto parcheggiata in zona ponte di Tiberio, sfrutta la mezzora di anticipo per un furtivo tuffo in mare in solitaria.
Nel «cinema di Fellini», puntuale e rilassato, il regista quasi 55enne (compleanno il 15 ottobre) la cui carriera è stata lanciata nell’ormai lontano 1996 da Nanni Moretti (con il cortometraggio Silhouette vinse al Sacher festival), si presenta nel pomeriggio di una domenica che coincide con l’inizio di ottobre ma sembra giugno inoltrato e in tantissimi si sono “spiaggiati” sul litorale sin dal mattino.
La proiezione speciale di Io capitano delle 16.30 richiama uno sciame di spettatori in trepidante attesa. All’interno del cinema la sala grande intitolata a Fellini si riempie anche in galleria. Elena Zanni, la direttrice del Fulgor, accoglie smagliante l’ospite all’ingresso: «Benvenuto», il tempo di due chiacchiere e via.
La pellicola, che l’Italia ha candidato agli Oscar per il miglior film straniero, dopo i premi a Venezia (Leone d’argento alla regia e premio Mastroianni all’attore Seydou Sarr) sta facendo incetta di riconoscimenti.
Un film che andrebbe proiettato nelle scuole, si dice, si è detto. Lo rimarca anche Francesca Fabbri Fellini, nipote del grande regista riminese, prestatasi all’intervista che precede la proiezione di Io capitano. Di fatto sta già accadendo: «Molte scuole ce lo stanno chiedendo» dice Garrone. Ma non è tanto e solo il valore di insegnamento per così dire morale, etico, che fa di Io capitano un film importante, riuscito, di grande intensità e bellezza.
«Ho rimandato per anni la realizzazione di questo film – confessa il regista –. Non mi sentivo pronto a girare una storia di questo tipo, io che sono di origini borghesi e che non sono africano. Il film l’ho fatto insieme agli interpreti, io sono stato un tramite. A volte, nel rivederlo, mi chiedo: ma l’ho fatto io?».
Le riprese di Io capitano (realizzate a Dakar, in Senegal, e in Marocco) non sono state senza difficoltà, ma sono avvenute in un clima quasi “magico”.
«Sul set, in Africa, avvertivo la sensazione come di vivere nell’Italia del dopoguerra, in quel contesto di semplicità, di vitalità, che ha preceduto il boom economico» ha raccontato il regista. Girarlo nella lingua wolof è stato par di capire naturale: «Dirigevo gli attori a orecchio».
Il racconto, e la sua messa in scena (mai retorica e autocompiaciuta) hanno il respiro della autenticità che arriva non solo dagli attori protagonisti, in primis i due bravissimi interpreti principali Seydou Sarr e Moustapha Fall che avevano già alle spalle una qualche formazione attoriale, ma anche dalle numerosissime comparse, ragazzi e ragazze, donne e uomini che realmente hanno vissuto il viaggio-odissea degli immigrati africani raccontato dal film.
«La storia – ha ricordato il regista – è frutto di quattro racconti che hanno dato lo spunto per dare forma visiva a quella parte di viaggio fino alla costa nordafricana che di solito non si conosce».
Nel corso della chiacchierata al Fulgor, Garrone ha anche svelato un aneddoto legato alla sua conoscenza diretta di Federico Fellini. Figlio di un critico teatrale (Nico Garrone) e della fotografa Donatella Rimoldi, non ancora ventenne il futuro regista – all’epoca ancora incerto se proseguire nella strada della pittura (è diplomato al liceo artistico) o in quella sportiva del tennista – si era già lasciato affascinare dall’arte cinematografica («come la pittura del resto un’arte visiva»). «Mio padre aveva avuto un flirt con Fiammetta Profili, segretaria di Federico Fellini – rivela –. Chiesi se poteva aiutarmi a fare parte del film. Per due settimane sono stato sul set de La voce della luna, tra le comparse, e sono stato testimone del modo che Federico Fellini aveva di dirigere gli attori a cominciare da Roberto Benigni, del rapporto con il produttore. Ero incantato, lo guardavo, un po’ lo pedinavo...».
«Leggo molto le cose che ha scritto Fellini» ha continuato Garrone nel corso della chiacchierata al Fulgor, schermendosi di fronte a qualsiasi forma di accostamento. Salvo però dimostrare una frequentazione tutt’altro che superficiale con il cinema del maestro riminese. Nel 2012, fu tra l’altro invitato a parlare de Lo sceicco bianco (primo film di Fellini i cui echi si respirano in Reality, altro successo, dopo Gomorra, di Garrone) proprio a Rimini.
«Fellini al pari di Roberto Rossellini, che fu suo maestro, ha iniziato a fare cinema all’epoca del Neorealismo – ha ricordato il regista romano –. Entrambi, Rossellini e Fellini, partivano dalla realtà e la trasfiguravano».
Ed è l’operazione di Io capitano, che parte da storie reali e si trasforma in epica contemporanea, ma anche viaggio di formazione (guarda caso dopo il precedente film di Garrone Pinocchio, con Benigni), road movie, arrivando dritto al cuore degli spettatori. Grazie a un racconto in soggettiva che rende partecipi dell’odissea vissuta dai due giovani protagonisti.