Massimo Zamboni a Torriana con “La trionferà”

I nonni gli hanno trasmesso due linee di sangue: una dalla bassa pianura, e l’altra dall’alto dell’Appennino. Ne è derivato l’animo sfaccettato che Massimo Zamboni riversa in musica e in parole vivendo tra la terra e il bosco sulle colline di Reggio Emilia. Dice di aver pensato di trasferirsi a Santarcangelo, meraviglioso cuore della Romagna, terra che ama moltissimo e conosce a menadito, ma poi è rimasto in Emilia con frequenti incursioni in Romagna. E qui il 25 aprile (ore 17), a Torriana (Giardino delle pietre recuperate), sarà protagonista il suo libro La trionferà (Einaudi, 2021), copertina con bandiera rossa sventolante, nell’ambito di un progetto di Quotidianacom per la rassegna Mentre vivevo. Sarà una lettura corale a cura di Elisa Angelini, Isadora Angelini, Maurizio Argan, Corrado Montanari, Roberto Scappin, Luca Serrani, Annalisa Teodorani, Paola Vannoni con incursioni musicali di Daniele Angelini. Un testo paradigmatico dell’inesausta passione politica in cui Zamboni svela la fede in un sogno collettivo e la storia corale della sua gente dallo slancio ideale «folle e meraviglioso», quella di Cavriago, dove è nato e vissuto. Una cittadina che tanto ha da dire rispetto alla storia del Novecento, con un coraggio che lo stesso Lenin – il cui busto dal 1970 fa bella mostra di sé nella piazza centrale – ha lodato, dopo quel telegramma di solidarietà alla Russia rivoluzionaria partito da qui nel 1919.

Perché ha voluto scrivere questo libro?

«Perché gli argomenti di cui parlo sembrano addormentati e invece interessano e portano con sé quello che siamo oggi. Ho voluto dare il giusto riconoscimento a centinaia di migliaia di persone che hanno creduto in un’idea che forse le ha ingannate ma anche no, perché ha dato loro pienezza, speranza, fiducia. È la terra in cui vivo, in cui mi riconosco e quindi è un atto dovuto».

Con commozione, sarcasmo, disincanto racconta la dissoluzione di un mondo ma ce lo descrive vivo. È l’epica di una memoria da cui ripartire?

«Fondamentale è cercare di vedere con lucidità il mondo in cui viviamo, che può solo esplodere, così non può stare in piedi e i segni dei cambiamenti verranno da un’altra idea di mondo».

Ripartire significa riappropriarsi di alcuni di quei valori forti nella comunità di Cavriago: solidarietà, fratellanza, uguaglianza?

«Cavriago è piccolo ma dimostra che si può essere al centro del mondo e che tutti facciamo parte di un sistema più grande. E questa non si chiama globalizzazione, che equivale a sregolatezza totale sotto il dominio della finanza».

Quali sono le parole importanti oggi?

«Non so che parole usare ma credo ci si debba comportare da contadino, cioè aver cura delle cose, degli animali, degli uomini e di quello che siamo».

Ma chi siamo?

«Io so chi sono e lo dico senza presunzione. Il fatto di riconoscermi in una terra mi dà una base solida».

Nel suo libro si legge che a Cavriago, poco più di 9mila anime, 500 persone in media al giorno frequentano la biblioteca e nel 1921 avete creato l’Artoteca. C’è da andarne orgogliosi.

«Sì, qui ci sono stati secoli di lotta di emancipazione, si è sempre condiviso l’assunto che la cultura deve appartenere al popolo, e non erano idee populiste, venivano dalla coscienza dei cittadini».

I giovani a Cavriago come sono?

«Sono consapevoli e orgogliosi della loro storia, se ne sentono parte, ad esempio un gruppo ha preso in carico piazza Lenin».

Come viene letto oggi Lenin?

«Ha incarnato l’idea di emancipazione, è considerato un po’ santo, un po’ maestro».

Ci sono ancora i maestri?

«Sì, ma se vanno in televisione vengono divorati, è aberrante. I maestri ci sono anche nei cittadini comuni che sono più sensati dei politici, e poi c’è il Papa».

Foscolo vi definì «primi veri italiani e liberi cittadini», Stendhal lodò «immaginazione, vivacità, coraggio». La sua terra e la nostra regione mantengono alta questa bandiera?

«Negli occhi degli altri abbiamo qualcosa in più, dobbiamo esserne consci e avere la responsabilità di non svendere questo patrimonio».

In un suo libro sostiene che piante e animali sono condannati alla vita, l’uomo è condannato alla storia e trascina gli altri.

«Certo, abbiamo dovuto apprendere che la storia non solo non è maestra della vita, ma neanche bidella. E se non cambiamo la nostra visione del mondo andremo verso l’estinzione».

Da qui su quali contenuti va la sua scrittura ora?

«Sto scrivendo un libro sugli animali, gli uomini non sono gli unici ad abitare il mondo, c’è tanto altro!».

Oltre che scrittore è chitarrista, cantautore, ha fatto musica da solista, coi Cccp, coi Csi, è autore di colonne sonore. Cosa predilige?

«Ho bisogno di portare avanti tutte insieme queste cose, compresa la vita da contadino!».

Nel suo libro “L’eco di uno sparo” afferma che l’eco di uno sparo non si quieta mai, instaurando una catena senza fine. Nella guerra in corso si dovrebbe negoziare e non armare?

«Credo che l’unica modalità possibile sia il negoziato, anche se i costi sono alti, ma la guerra ha costi ancora più alti e imprevedibili».

Contributo libero. In caso di maltempo ci si sposta al Centro Sociale di Poggio Berni.

Info: 327 1192652

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