Massèra, grande bibliotecario della Gambalunga di Rimini

RIMINI. Per i quattrocento anni della Biblioteca Gambalunga, nessuna celebrazione può essere più opportuna, di questa imponente pubblicazione: Aldo Francesco Massèra tra Scuola storica e Nuova filologia. Si tratta di un libro necessario: la prima messa a fuoco – completa e approfondita, con interventi di gran livello – di un personaggio notevole, finora totalmente sconosciuto, se non agli specialisti. Aldo Francesco Massèra (1881-1928) è stato direttore della Biblioteca Gambalunga di Rimini – la prima civica italiana fondata dal lungimirante Alessandro Gambalunga nel 1619 – dal 1908 fino alla morte. Dopo gli storici Luigi e Carlo Tonini, la portò a configurazioni moderne, insieme al museo annesso, diventato, oggi, il Museo della Città .
Eruditissimo ed eclettico
Nato ad Ancona, Massèra si formò a Bologna con Pasquale Papa e poi con Carducci. Docente dal 1905 a Rimini, poi nell’Ateneo bolognese, fu un uomo eruditissimo ed eclettico. Consumò le sue qualità in una vita troppo breve. Ebbe un «forte disegno unitario che solo la morte lasciò incompiuto», scrive Alberto Brambilla ricordandone il primo e pieno riconoscimento da parte di Augusto Campana. Campana segnalava l’eccellenza e la modernità del suo metodo filologico e storico, che subentrava a quello di Carducci. Non l’aveva seguito, se non nella severità dottrinale coniugata con la signorilità umanistica, «devozione costante disinteressata ed intera all’ideale degli studi». Soprattutto, «era un mirabile editore di testi, magnifico di preparazione di perizia e di acume»; lo stesso Campana ne parla con non dissimulata immedesimazione, come con altri maestri e amici – sottolinea Renzo Cremante, ritraendo Massèra nella vita culturale e romagnola.
Elegante, con una personalità ben conscia di sé, a sedici anni esordiva sul Giornale dantesco; a diciassette polemizzava alla pari con Michele Barbi. Appena laureato sui poeti burleschi medievali (di cui scrive Anna Bettarini Bruni), pubblicò l’edizione critica dei Sonetti di Cecco Angiolieri (1905: qui ne scrive Giuseppe Marrani): ma già due anni prima l’avrebbe voluta, nella Commissione per i testi di lingua presieduta dal Carducci, dove stamperà le Rime del Boccaccio (1914). Boccaccio fu una delle cure della sua vita, con l’edizione del Decameron (1927), delle Opere latine minori (1928), con anticipi dei poemetti in volgare, che Vittore Branca avrebbe completato. Di questa complessa compagine italianistica, ma anche di letteratura latina del tardo medioevo, la cui analisi esce per la prima volta alla luce in relazione al Massèra, si occupano Fabio Jermini, anche in definizione del realismo letterario nella poesia del Due e Trecento; Alessio Decaria per i manoscritti di poesia medievale; Marco Petoletti per la poesia latina del XIV e XV sec.; Roberto Leporatti per la lirica in volgare di Boccaccio; Angelo Piacentini, quanto alle edizioni delle opere poetiche latine di Boccaccio; Maurizio Fiorilla sull’edizione del Decameron per gli “Scrittori d’Italia”.
Questo fu lo strepitoso inizio di Massèra nel campo della letteratura medievale italiana: e divenne un’autorità per Boccaccio, Cecco Angiolieri, i poeti comico-realistici. Massèra continuò a Rimini quanto aveva impostato a Bologna (sugli anni bolognesi si fissa Francesca Florimbii).


Gli anni riminesi
Arrivato a Rimini, Massèra la arricchì con la sua competenza. Si immerse nelle carte malatestiane, preziosissime. Intanto ristrutturava la biblioteca. Era eccellente “tecnico”, consapevole del rischio che le biblioteche e tutte le istituzioni culturali corrono, quando sono soggette (senza una solida direzione tecnica) al volatile avvicendarsi delle commissioni soggette alla politica: si veda il fondamentale studio di Paola Delbianco, che è stata anche bibliotecaria della Gambalunga. Gli si deve la struttura della biblioteca e quella del museo, pur con tutte le trasformazioni successive, di un secolo, che comprendono le distruzioni dei bombardamenti e le ricostruzioni o le costruzioni ex novo.
Per la Gambalunga, presso i Rerum Italicarum Scriptores avviò il grande progetto delle cronache malatestiane con i primi volumi (l’opera è tutt’ora incompleta: avrebbe dovuto terminarla Campana, ma ciò fu impossibile). Pubblicò numerosi risultati delle ricerche d’archivio e sui codici, monografie: Jacopo Allegretti di Forlì, Benedetto da Cesena, Roberto Valturio; tracciò la storia della letteratura umanistica nelle corti malatestiane; licenziò lo splendido lavoro de I poeti isottei (1911).
Un compito enorme (si vedano inventario e studio di carte e libri di Maria Cecilia Antoni), che solo uno studioso della portata di Campana avrebbe potuto terminare e in realtà continuò, sebbene non nel senso ufficiale; ne scrive Michele Feo in un saggio di straordinaria levatura e gradevolezza: esempio della scrittura umanistica che intreccia le vite in una continuità inesauribile. Il rapporto con Rimini, affascinante per quanto riguarda le carte dei poeti isottei, è studiato da Paola Vecchi Galli; Chiara Coluccia si occupa delle cronache riminesi; Guido Lucchini della collaborazioni ai periodici; Enrico Angiolini dell’edizione incompiuta delle Cronache malatestiane; Donatella Frioli di Basinio.


L’archivio Battaglini
Massèra – grazie all’amicizia con Adriana Costa Reghini, moglie di Filippo Battaglini – fu nel Novecento il primo e l’ultimo studioso a disporre liberamente dell’accesso all’archivio Battaglini, non solo preziosissimo in sé per le carte delle famiglie riminesi e i bei codici, ma anche per i documenti dei due fratelli, Angelo e Francesco Gaetano, che pubblicando le Opere di Basinio (1794), avevano ricreato nel modo più completo la biografia e la corte letteraria di Sigismondo. Immagino che abbia sentito come una delle proprie sconfitte, quella di non essere riuscito a salvare dalla dispersione la loro biblioteca, in gran parte ceduta all’antiquario De Marinis e venduta all’asta nel 1910, e il loro archivio, per buona sostanza offerto alla Gambalunga e rifiutato dal Comune di Rimini, che ora si trova alla Biblioteca Universitaria di Bologna.
Lo sfortunato bibliotecario, in pieno revival malatestiano (Charles Yriarte «famigerato» per gli svarioni; d’Annunzio con Parisina, Francesca da Rimini; Corrado Ricci con il volume sul Tempio), teneva a bada Pound in visita all’adorato Sigismondo (1922-23); ma solo per interposto Campana poté continuare a corrispondere con Aby Warburg, che già nel ’15 gli chiedeva di Basinio, e troppo tardi, lo cercava a Rimini nel 1928. «Partito per studiare i cicli dell’ascesa mistica dell’anima che hanno inizio a Rimini», Warburg ne aveva capito la discesa «in quanto funzione continuativa dell’eredità antica». Grazie anche alla filologia di Massèra, forse, aveva «trovato la strada che conduce dal Tempio Malatestiano di Rimini al Giudizio Universale della Cappella Sistina».

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