Marino Bartoletti racconta "La cena degli dei"

Cultura

Comunque lo si chiami, commendatore, direttore, maestro, va sempre bene. Il forlivese Marino Bartoletti sta al giornalismo italiano come le figurine Panini stanno ai calciatori. È parte della storia sportiva e anche musicale del nostro Paese. Le ha viste tutte, ha conosciuto e frequentato tutti i più grandi, è stato ovunque, ha lavorato con chiunque… E soprattutto è difficile trovare qualcuno che non ne abbia una buona opinione. In più è uno splendido settantenne che dimostra almeno 10 anni di meno.

Ha pubblicato poco tempo fa il suo primo romanzo, “La cena degli dei” per l’editore Gallucci. Un successone, l’ennesimo per lui.

Direttore, leggendo la sua biografia professionale si fa prima a dire quello che non ha fatto o diretto che quello che ha fatto… Come dice Mourinho: chi sa solo di calcio non sa niente di calcio!...

«Wikipedia si è fermata a 5 anni fa, si saranno stancati...».

Parliamo del libro. Che numero è nella sua bibliografia?

«In realtà è il primo: ho sempre giurato che non avrei mai scritto un libro e non mi sarei mai iscritto a Facebook, poi con l’età… In realtà avevo scritto i quattro libelli del “Bar toletti”, ma sono la riproduzione cartacea dei miei interventi su Facebook, una raccolta di pensieri. Avevo anche scritto tre libri per ragazzi, per insegnare ai giovani l’etica dello sport: Gallucci aveva insistito, hai fatto 10 olimpiadi, 10 mondiali, non puoi tenerti per te queste cose. Tanto che a breve ne uscirà un quarto. Poi mi ha detto che voleva un libro serio, un romanzo da contrapporre a Vespa a Natale... Io gli davo del matto ma alla fine ho trovato uno spunto, così a 70 anni ho esordito come scrittore. Mi sono detto: in realtà è solo un lungo articolo e in tre settimane l’ho buttato giù. M’ero ripromesso di scegliere le persone che conoscevo e scrivere solo di ciò che sapevo per esperienza diretta. Da qui l’idea di questa cena, organizzata dal grande vecchio Enzo Ferrari, che si sta annoiando lassù da 43 anni, con ospiti a metà tra l’Olimpo e la trattoria. Perché non può finire tutto con la morte!».

Ecco, appunto: dove vanno a finire i nostri eroi? Ha costruito un paradiso di cui le piacerebbe far parte…

«L’autore è in effetti molto complice, e i grandi consensi che mi arrivano oltre alle ottime vendite, mi fanno capire che è piaciuta l’idea di questo paradiso dove si mangia lo zampone e si beve vino».

Ferrari, Simoncelli, Baracca, Pavarotti, Pantani, Senna, Dalla, Nuvolari. Tutti insieme attorno a un tavolo. Una favola che avrebbe voluto leggere il bambino Marino. Il suo modo di raccontare questi grandi a coloro che per motivi d’età non li hanno conosciuti dal vivo e nemmeno in tv, è un vero e proprio regalo…

«Sì, è una favola più che un romanzo, dove descrivo persone che ho amato (molti sono emiliano-romagnoli). Rileggendomi mi sono emozionato e devo dire che molti giovani, che credevo di annoiare, invece mi dicono che sono incuriositi da certi personaggi come Baracca, uno degli eroi dell’aria che nella sua epoca erano simili ai campioni dello sport odierni e visti come semidei».

Un libro nostalgico: oggi non ve n’è più come coloro di cui ha scritto?

«Veramente nei mesi in cui è uscito il libro, c’è stato un affollamento alla porta del paradiso, da Proietti a Maradona, Rossi, Gresini, D’Orazio, Sean Connery. Ne avrei di materiale per un seguito.».

Se lei dovesse fare una cena bis dedicata solo ai grandi del giornalismo, con chi vorrebbe sedersi a tavola? E quanto sono importanti per lei i maestri?

«Brera e Biagi, ho avuto questi due per direttori... Ma ci metterei anche Aldo Giordani, papà della pallacanestro italiana, e mi dispiace che il suo nome sia relativamente noto. Vide che facevo un giornaletto a Forlì, “Pressing”, fatto benino, e mi chiamò a Milano. Ma anche Sandro Ciotti: stesse passioni con lui, musica e sport».

A proposito di musica: che cosa ne pensa di Sanremo senza pubblico?

«Non si poteva fare diversamente, deve essere un segnale di resistenza e speranza allo stesso tempo. Non si può rinunciarvi per i risvolti sociali ed artistici che ha. Nel mondo dello spettacolo che arranca, è un esempio virtuoso».

E lo sport? È la stessa cosa senza pubblico o anche gli interpreti delle gare si comportano in maniera diversa?

«Ci sembra che si comportino in maniera diversa, anche se forse è solo perché cogliamo aspetti che prima non potevamo. Certo, il condizionamento è diverso. Ma non ci dobbiamo assuefare a questa fase da videogame, ci vuole il calore del pubblico».

Che cosa le piace oggi e cosa non le piace della Romagna?

«È la mia terra, sono acritico. Mi piace il sapore, la gente, anche il provincialismo. Non mi piace vederla scoraggiata in questa dura contingenza. Dato che sboroni siamo, sboroni dobbiamo rimanere sempre, anche nelle difficoltà!».

Pantani?«Lasciamoloin pace»

Marco Pantani e Ferrari: o della sofferenza. Bartoletti si è immedesimato in questi grandi che hanno spesso anche un lato oscuro o comunque si portano dentro una grande tristezza, che non danno a vedere… «Sì, mi rendo conto che c’è una speziatura di malinconia in quasi tutti, perché non meritavano di morire. Guccini canta “gli eroi son sempre giovani e belli”, ma fa tristezza pensare che non hanno potuto dare di più. Le malinconie passano grazie a quel folletto di Lucio Dalla, che durante la cena ha un sorriso per tutti. Un elemento di geniale disturbo, si mette a suonare e cantare: al tavolo si trova seduto fra due sue canzoni… Senna e Nuvolari!».

Pantani. Vogliamo sgombrare per sempre il campo dalle illazioni? Pantani si è suicidato, è stato ucciso o cosa? «Penso che aldilà della ricerca della verità, è arrivato il momento di lasciarlo in pace. Non si è ucciso, si è lasciato andate, forse non aveva più voglia di vivere, e certo non ho elementi per pensare che lo abbiano ucciso. Continue inchieste, ricerche, non facciano altro che perpetuare il dolore».

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