Maria Paola Patuelli: a che punto è la Repubblica

Editoriali

Amiche ed amici ravennati, appassionati di Repubblica e di Costituzione, si sono ritrovati, in una sera di agosto, per una conversazione decisa prima della crisi di governo. Si erano dat* un tema che hanno mantenuto. A che punto è la Repubblica? La conversazione si è svolta prima del nuovo incarico a Giuseppe Conte, quando – era stato un nostro auspicio – le carte erano tornate in mano al Parlamento e al Presidente Mattarella.
La domanda è stata posta a Maurizio Viroli, che ha accettato la conversazione in presenza. Viroli, come sempre, affila la questione in profondità. Una profondità che si misura con esperienze storiche del passato e con teorie politiche antiche e moderne. Fino ad arrivare alla nostra Costituzione che noi, appassionati di questa Costituzione, abbiamo salvato due volte, nel 2006 e nel 2016. Per noi insopportabile era, ed è, la vulgata che i mali dell’Italia derivino da questa Costituzione. La corruzione? L’evasione fiscale? La dissipazione del territorio? La crescente ignoranza, arroganza, violenza verbale di chi arriva nelle Istituzioni? Suvvia, non scherziamo.
Allora, almeno fra di noi, un gruppo di amiche ed amici della Costituzione, abbiamo cercato di fare chiarezza su alcune questioni.
I principali punti affrontati da Maurizio Viroli. La crisi che stiamo vivendo è morale, prima che politica. E la transizione che l’Italia sta vivendo è infelice. Siamo una Repubblica o una democrazia? Siamo una Repubblica accompagnata da un importante aggettivo, democratica (art.1). Non siamo una democrazia priva di aggettivi, come oligarchi demagoghi e oligarchi plebei (termini nati nel mondo dei greci e dei romani, che sembrano calzare anche oggi) sbandierano da tempo, dimenticando l’ultimo capoverso dell’art.1. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Limiti? Al voto, al voto! Voglio i pieni poteri, ha urlato poche settimane fa un oligarca plebeo, ignaro della nostra Costituzione. Viroli sollecita molte riflessioni. La Grecia classica, considerata, superficialmente, la patria della democrazia - quella buona per tutti gli usi, a seconda di chi la sbandiera – aveva una democrazia “reale” che, oggi, ci fa un po’ senso, fra schiavitù e donne fattrici silenziose. D’altra parte piaceva poco anche allora, e non solo all’aristocratico Platone, ma anche al “democratico” Socrate. E, prima di lui, a Eraclito, un meraviglioso àristos, uno dei migliori, e non perché ricco. Erano insofferenti dell’ignoranza, e di chi si pensava esperto tuttologo, capace di dire, nel giro di pochi minuti, tutto e il contrario di tutto. Volete fermarvi un momento a riflettere, a dubitare, a scoprire la vostra, oltre che mia, ignoranza? Si affannava Socrate, sempre in giro a dialogare, a discutere, a parlamentare. A maggioranza hai votato per la mia morte, caro demos, lasciando all’Occidente il compito di stracciarsi le vesti per millenni per questa tua colpa. Se Socrate tornasse in questi giorni fra di noi, direbbe, stupito. Ma siamo ancora a questo punto? La mia morte - un capolavoro - non è servita a nulla? Zitto, fannullone, chiacchierone, sapientone, gufo, rosicone. Noi siamo il popolo, e tu fai parte di una élite che non è stata votata, come i magistrati. Anche loro, zitti. Hai avuto il maggior numero di voti? No. Allora stai zitto. A tutto questo pensavo mentre ascoltavo Viroli che ci metteva molte pulci nell’orecchio, a proposito di democrazia e di popolo. Socrate sperava in una società retta da cittadini consapevoli e responsabili di fronte alla Res Publica. I migliori non per censo ma per consapevolezza, per onestà, per disinteresse personale. Ma chi ha scarsa consapevolezza, riesce a distinguere i migliori? E’ un tormento che ci accompagna dalle rivoluzioni inglesi del Seicento, passando per i giacobini, per la Repubblica Romana, fino alla nostra Repubblica, che, in anni eccezionali – né prima né dopo così eccezionali dal punto di vista della italiana Res Publica – con la Resistenza appena accaduta, partorì la Costituzione. Ma - e su questo Viroli insiste da tempo – neppure la migliore delle Costituzioni basta, se non si radica nel popolo la consapevolezza che l’art.54 indica come è necessario che siano i rappresentanti del popolo. Ovunque si trovino, debbono servire la Repubblica con disciplina e onore. Come formare una élite politica all’altezza della Costituzione, se non si radica la cultura dei doveri, oltre che dei diritti, verso la Res Publica? Solo se si trova la strada per evitare il peggiore dei mali - il popolo ubriacato dai demagoghi - la transizione italiana può cessare di essere infelice. Ridotta ad una alternanza fra demagoghi. È, oggi, democratica la rete? Cosa direbbe Socrate? Ha ragione chi urla più forte? Chi fa promesse luccicanti? Chi è sempre connesso e si ritiene, per questo, sapiente?
Il dialogo del gruppo amicale della sera d’agosto con Maurizio Viroli si è allargato al mondo intero. Demagoghi oligarchi e demagoghi plebei sono in numero crescente, in Europa e nel mondo. Vi sono però anche movimenti di resistenza, in Europa – in Gran Bretagna, dove Boris Johnson gioca pesante, in Polonia, in Russia – a Hong Kong, e, in diffusione nel mondo, ondate per la sopravvivenza, in Amazzonia, e ambientaliste partite dalla Svezia di Greta, arrivate anche in Italia. Quanta gioventù. Che sta cercando una sua strada, con idealità forti, per l’ambiente bene comune. È una gioventù colta, sobria, molto informata, ha un proprio linguaggio, radicale e non urlato. Non cade nella trappola polemica di chi già li aggredisce. Come si permettono, questi saputelli, dicono demagoghi di varie specie.
Ora, in Italia, è in atto il tentativo di dare vita a un nuovo governo. Detto giallo rosso. Nel giallo c’è anche il verde di Greta e ci sono i diritti umani? Nel rosso c’è anche il rispetto per la Costituzione, per la dignità del lavoro, per una Repubblica solidale? Gli attori politici al lavoro sono consapevoli che dalla crisi – morale prima che politica, come dice Viroli – si esce solo con un volo alto? Vola alto chi dice prendere o lasciare? Direi proprio di no. Vola alto chi “rompe” prima che il lavoro, bello o brutto, sia compiuto? Direi di no. Ci sono forze politiche al lavoro dotate di ali forti e resistenti? Di ali, senza le quali ogni volo è impossibile? Possono, le ali, spuntare all’improvviso? Può, una crisi fra le peggiori, produrre una sincera discontinuità? Mutazioni profonde in genere necessitano di tempi lunghi. Ma, chissà… Comunque, ora le carte sono passate al Parlamento e, dal Parlamento, alla politica. Arriveranno a positiva destinazione?
Seguiamo con apprensione. Vorremmo potere contare non su un miracolo - questione assai lontana dalla politica - ma su un laboratorio, per quanto inedito, che indichi una transizione non infelice ma all’altezza della Costituzione.
Chissà che qualche demiurgo, con l’occhio ben aperto sulla Costituzione, non ci deluda. Siamo in attesa che Viroli ci dia altre occasioni di approfondimento e riflessione.
Ci contiamo molto.

(*) Coordinamento per la Democrazia
Costituzionale

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