Maria Paiato "avvelenatrice" al teatro Corte di Coriano

Prosegue la seconda parte della stagione del teatro Corte di Coriano con Maria Paiato che questa sera porterà in scena L’avvelenatrice di Éric-Emmanuel Schmitt. Una storia che attraverso le corde teatrali dell’attrice si trasforma in una partitura infinita di coloriture interpretative: un’altra figura femminile aggiunta alla sterminata galleria di donne rappresentate in tanti anni di teatro, a confronto con autori come Brecht o Ruccello, Testori o Bernhard. È la storia di Marie Maurestier, ormai settantenne, dalla nomea di assassina, per aver avvelenato tre mariti benestanti vent’anni prima. La Giustizia si è dovuta arrendere e Marie passa la sua vita ostentando spavalderia nella piccola comunità di Saint Sorlin en Bugey, fino a quando, invaghita ossessivamente del giovane Gabriel, nuovo prete del paese, si risveglia la sua energia vivificatrice. Decisa a raggiungere l’obiettivo, costruisce una trappola, giocando da vera maestra le armi dell’affabulazione e stringe d’assedio l’incauto prete con la lentezza, la pazienza e la concentrazione di un velenosissimo ragno.

Paiato, perché ha deciso di portare in scena questa storia?

«È una lettura che mi era stata suggerita dall’attore e regista Pino Quartullo, perché il personaggio è uno di quelli che mi calzano a pennello per un’energia piuttosto solida – racconta l’attrice –. Così, dopo averne realizzato una versione radiofonica per Rai Radio 3, ho deciso di portarlo anche a teatro perché ho visto che funziona, è tutto costruito molto bene e la gente si appassiona a questa vicenda paradossale».

L’ha definita “fiaba” perché della favola ha il carattere di insegnamento e la struttura di parabola che concede la redenzione.

«Sì, c’è un insegnamento finale. L’illusione stava rovinando la protagonista e deve tornare indietro sui suoi passi. L’insegnamento è correlato al tempo, un elemento chiave nel rapporto tra questi due personaggi così lontani a livello anagrafico».

Cosa l’ha spinta a interpretare questa figura?

«Sono rimasta affascinata dalle numerose sfaccettature. Dentro di sé ha una teatralità diabolica e si diverte a osservare ciò che suscita intorno. È una donna che ha grande consapevolezza di sé e capacità trasformative. Si avverte poi sempre l’ironia dell’autore che ha voluto giocare con tutti questi elementi, aggiungendo anche suspense e paura a tratti».

Il 14 febbraio potremo seguirla anche nella serie Netflix “Fedeltà” tratta dal romanzo dello scrittore riminese Marco Missiroli nel ruolo di Anna, la madre di Margherita Verna. Com’è stata questa esperienza?

«È stata un’esperienza molto bella con i due registi Andrea Molaioli e Stefano Cipani e tutto un gruppo di persone giovanissime e brave. Inoltre mi sono ritrovata a lavorare con Lucrezia Guidone (nei panni di Margherita) come era già accaduto in spettacoli di Luca Ronconi. Durante la pandemia avevo accantonato l’idea di fare teatro ed è stata una piacevole sorpresa essere chiamata per questa e altre serie come “Vita da Carlo” con Carlo Verdone. Solitamente i set cinematografici li patisco molto e mi provocano uno stato di colite che dura giorni, perché sono piuttosto timida e mi sento sempre osservata, invece in occasione di “Fedeltà” è andata meglio del solito grazie a questo bel clima».

È contenta di tornare in Romagna?

«Sì perché ho sempre trovato un pubblico caloroso che mi ha accolta con grande generosità e divertimento. Lavorare con Giovanni Ferma e Marina Signorini dei Fratelli di Taglia è un grande piacere, da subito mi sono sentita a casa».

Buio in sala alle 21.15.

Info e prenotazioni: 329 9461660

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