Marco Paolini a Russi e Modigliana con "Antenati"

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Marco Paolini – drammaturgo, regista, attore, scrittore e produttore – sarà in Romagna con il suo ultimo spettacolo, “Antenati. The grave party”, venerdì 2 dicembre alle 20.45 al teatro Comunale di Russi e sabato 3 dicembre alle 21 al Teatro dei Sozofili di Modigliana.

“Antenati” è uno spettacolo che ripercorre l’evoluzione della nostra specie, attraverso l’incontro immaginato con le generazioni che ci collegano ai nostri progenitori, quel piccolo nucleo africano di ominidi da cui tutti proveniamo. Paolini affronta i temi dell’evoluzione e dell’ecologia in chiave epico-comica, in una narrazione in cui i fatti e i problemi del presente si legano a quelli del passato.

Uno spettacolo sociale, un grido di ribellione contro la crisi pandemica e un’invettiva contro l’individualizzazione dell’uomo durante il lockdown, perché dopo tutto, «nessuno di noi è solo uno, io sono fili e non dati, fili, fili…».

Così si racconta Paolini al Corriere Romagna.

Paolini, che tipo di lavoro c’è stato dietro ad “Antenati”?

«Il racconto ha una forma non convenzionale, è una mescolanza di registri vari, da quello comico a quello drammatico. “Antenati” è a cavallo tra l’epica e il sogno, c’è un’idea surreale alla base, ma si cerca di restare vicini alla realtà. C’è sempre l’idea e il riferimento della fabula epica».

Lei è ideatore e conduttore del programma televisivo “Fabbrica del mondo”, l’ultimo dei tre episodi “Antenati e figli” è la base del suo spettacolo. Che tipo di approccio c’è stato con il copione?

«Il testo era nato per il teatro. È stato ridotto, asciugato e portato ai tempi del format televisivo. Alcune parti sono state omesse».

Ci vuole dire brevemente quale è stato il primo spunto per sviluppare il racconto?

«La storia è inventata, ma è fondata su una teoria plausibile. Durante la pandemia ho letto di virus, batteri e genoma, ed è proprio attraverso quest’ultimo che ho deciso di strutturare lo spettacolo. “Antenati” è una specie di viaggio dantesco attraverso le generazioni. La teoria alla base è che nel nostro genoma ci siano tutte le tracce dei nostri antenati. Sono partito da lì per poi “modernizzare” il tutto. Mi piaceva l’idea di riunire il passato in un unico tempo e luogo. Sono tutti estranei, ma discendenti e parenti tra loro. Alla fine, il legame parentale giustifica il fatto che si parlino e discutano».

In altre interviste si è detto che abbia usato “L’origine delle specie” come punto di partenza per il racconto. Come ha unito l’aspetto scientifico e quello teatrale?

«Darwin è un pretesto. La lettura di Darwin durante il lockdown è avvenuta, ma senza l’idea del leggere il libro per poi farne una drammaturgia. Il libro è una potente suggestione, ricco di spunti. Questi non sono testi confezionati per la drammaturgia, quindi è una bella sfida riuscire a riscriverli per il teatro. Non è un processo fantascientifico ma empirico».

Cosa ci dice di Calvino, lo ha preso come punto di riferimento?

«Calvino ha delle potentissime visioni. Per me è un maestro, difficilmente avvicinabile. Ho sentito indubbiamente la suggestione delle “Cosmicomiche” e ho cercato, a modo mio, di reinterpretare la lettura scientifica con quello che è il mio modo di fare teatro».

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