Malattie della tiroide: serve una diagnosi precoce

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È una piccola ghiandola alla base del collo. Piccola sì, ma da non trascurare. Infatti, regola i processi metabolici e instancabilmente produce e rilascia nel sangue gli ormoni che permettono un corretto funzionamento di tutti gli organi. Quando c’è qualcosa che non va alla tiroide, quindi, non possiamo pensare di sottovalutarla. Eppure, ancora c’è chi non ne tiene conto. Più di 300 milioni di persone nel mondo soffrono di disturbi tiroidei, ma più di un paziente su due non è consapevole della sua condizione. In particolare, l’ipotiroidismo (un deficit che porta a un’insufficienza degli ormoni tiroidei) nella grande maggioranza dei casi è conseguenza della Tiroidite di Hashimoto, una patologia autoimmune che, con il passare del tempo, distrugge la tiroide stessa. Ma quali sono i campanelli d’allarme? «Le conseguenze dell’ipotiroidismo non trattato iniziano nell’adulto con una riduzione del benessere e della performance fisica e mentale, con riduzione dell’efficienza lavorativa, per arrivare a determinare una riduzione della fertilità e un aumento del rischio cardiovascolare, per incremento dei livelli di colesterolo e alterazioni della funzione cardiaca e vascolare.

Nel giovane, l’ipotiroidismo può essere invece causa anche di una ridotta crescita o di difetti di apprendimento», spiega Luca Persani, professore ordinario di Endocrinologia al Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università di Milano e primario di Endocrinologia all’Istituto Auxologico Italiano, a margine del 14esimo congresso dell’Ait, l’Associazione italiana della tiroide. La diagnosi precoce passa attraverso una semplice analisi del sangue con il dosaggio dell’ormone Tsh. Il trattamento dell’ipotiroidismo punta su un farmaco, la levotiroxina, che altro non è che l’ormone che manca (l’Ft4) quando si ha un ipotiroidismo. Giusto per dare una misura, è il secondo farmaco più prescritto al mondo dopo la atorvastatina, il medicinale che serve per tenere sotto controllo il colesterolo.

«Negli ultimi anni – commenta Luca Chiovato, presidente dell’Ait – abbiamo assistito a un aumento dei casi di patologie tiroidee (tiroiditi, iper- e ipo-tiroidismo, tumori). Il dato, però, non deve allarmare; è infatti correlato a un maggior numero di controlli effettuati a cui è seguita una diagnosi più precoce e una terapia più tempestiva ed efficace, anche per l’utilizzo di nuovi protocolli terapeutici sviluppati in molti centri italiani che vantano caratteri di eccellenza internazionale».

Covid e tiroide

Nel corso del Congresso si è concentrata anche l’attenzione sui rapporti tra la pandemia e le malattie della tiroide. «L’interazione», dice Leonidas Duntas, membro della European Thyroid Association, «è complessa e bidirezionale. Gli studi prodotti in questi mesi suggeriscono che un esito avverso tra i pazienti Covid-19 è strettamente associato alla produzione eccessiva di citochine pro-infiammatorie. È importante sottolineare che queste citochine, come l’interleuchina-6 e la proteina C-reattiva (Crp), sono coinvolte nello sviluppo delle malattie della tiroide».

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