Luigi Pierantoni, ucciso alle Fosse Ardeatine

Da mesi strutture e personale della sanità sono impegnati, in tutto il mondo, per affrontare una pandemia di lunghezza e gravità inusitate. A Forlì, in prima linea c’è l’ospedale Morgagni- Pierantoni, il risultato della fusione del nucleo originale, dedicato nel 1921 al grande anatomista forlivese Giovanni Battista Morgagni, con la struttura nata nel 1931 a Vecchiazzano per volontà di Mussolini come sanatorio per malati di tubercolosi. Alla fine della guerra questa parte fu dedicata a Luigi Pierantoni, tisiologo e antifascista, una delle vittime della strage delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944, e dopo la dismissione del sanatorio, con la costruzione del Padiglione Morgagni e il trasferimento di tutti i reparti a Vecchiazzano, nel 2004 la nuova realtà prese il nome di Ospedale Morgagni-Pierantoni. Nato a Intra, l’odierna Verbania, il 2 dicembre 1905, Pierantoni era tenente della Croce Rossa Italiana. La sua casa-ambulatorio, nel quartiere Trieste a Roma, era adibita anche a base per l’attività politica, ma il 7 febbraio 1944 fu arrestato in seguito a una delazione e portato prima nella famigerata via Tasso di Herbert Kappler e poi al carcere di Regina Coeli. Qui improvvisò una infermeria per i detenuti e stava proprio praticando un’iniezione quando due agenti della Feld Polizei lo portarono alle Fosse Ardeatine. Vi fu ucciso fra i primi, come si vide quando i corpi furono recuperati e riconosciuti. Il sito www.vecchiazzano.it curato da Andrea Gorini ha recentemente pubblicato un commovente ricordo di Luigi Pierantoni scritto dal nipote Luigi.

«Come altri due miei cugini, figli di Paolo e Lucia – racconta – porto il nome del nonno che non abbiamo mai conosciuto. Fu attraverso Lea, sua moglie e mia dolcissima nonna, che conobbi questa immensa, eroica eppur umanissima figura. Quando lei mi parlava di Luigi ero rapito… diceva di quanto fosse fortemente legato al suo lavoro di medico e ai suoi pazienti, ma anche al suo ruolo di padre e marito, senza cui diceva di essere incompleto. Per me, un bambino che ascoltava le storie di un eroe di guerra che aveva osato sfidare i cattivi... era amore assoluto. Uno dei ricordi più forti della mia vita risale a quando avevo 12 anni e proprio il 24 marzo mio padre, medico come il nonno, mi chiamò nel suo studio a casa nostra, prese da un armadio una scatolina di legno e mi consegnò quello che del nonno era stato trovato alle Fosse Ardeatine: le mostrine, gli occhiali, l’adorata penna, una foto della famiglia, il fregio della Croce Rossa. E qualche anno dopo mi portò a vedere la sua tomba. Piansi, sebbene non lo avessi mai conosciuto: piansi perché sapevo che professionalmente non avrei mai seguito le sue orme. Piansi sapendo che le ultime ore le aveva passate da solo, dolorante per le torture subite e le offese al suo Paese, vestito della divisa che amava e che rispettò sino all’ultimo respiro. Piansi perché quasi sentivo la sua mano che mi accarezzava e la sua voce che mi diceva quanto gli mancassi. Piansi perché in quel momento capii quanto mi mancasse lui…».

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