Lasciato morire dagli amici: arrestati quattro ventenni

Le ultime ore di Matteo
La serata era iniziata nel parcheggio del Mc Donald’s di Lugo, dove Ballardini aveva incontrato la 22enne. Avevano assunto due dosi a testa di metadone. Verso le 23 il giovane aveva avuto un malore. L’amica allora aveva chiamato gli altri chiedendo aiuto. I quattro avevano valutato le alternative: portare all’ospedale il giovane (che tra l’altro stava seguendo un percorso di disintossicazione), oppure lasciarlo sotto casa e scappare dopo aver citofonato. Avevano scelto invece di aspettare. Non solo. Avevano spostato il corpo dal lato guidatore sul sedile passeggero, poi si erano spostati in auto, allontanandosi da quel parcheggio, dal quale poco prima, era passata una pattuglia. Prima si erano fermati in una pasticceria a prendere paste e pizza. Poi avevano fatto tappa in un bar, per acquistare alcune birre. Emblematico il video “clandestino” girato col telefonino dal gestore del locale, quando, vedendo il giovane privo di sensi a bordo della Volkswagen Polo, aveva inquadrato i ragazzi nel totale disinteresse, cercando anche di convincerli a portarlo al pronto soccorso. Ultima tappa, il parcheggio appartato di via San Giorgio dove avevano continuato ad assumere cocaina e addirittura a ballare con la musica a tutto volume.
Le indagini
Spostamenti ricostruiti con esattezza dalle indagini condotte a 360 gradi coordinate dal dirigente della squadra Mobile Claudio Cagnini, che nel corso di un anno sono riuscite a raccogliere i filmati dei sistemi di videosorveglianza, le conversazioni telefoniche dei soggetti coinvolti e numerosissime testimonianze del folto giro di amici. Conoscenti tra i quali la notizia della morte di Matteo si era diffusa a macchia d’olio fin dal pomeriggio stesso del rinvenimento. Era stato il 28enne, Morara, ritornato a vedere le condizioni dell’amico attorno alle 15, a trovarlo senza vita e a dare l’allarme. Gli altri se n’erano andati a casa da un pezzo, fin dalle 7 di mattina, lasciandolo solo, chiuso a chiave nell’auto in sosta sotto il sole primaverile, in quel parcheggio in zona Madonna delle Stuoie.
Il movente
Non usa mezzi termini il giudice nelle 160 pagine dell’ordinanza di arresto. Li definisce «sordi e ciechi» di fronte all’evidenza che l’amico era in overdose, responsabili di un comportamento di «rara inumanità» in una «vicenda reale di rare e proporzionali gravità e complessità». Il ragionamento chiave, che sposta la prospettiva dalla “sfortunata coincidenza di eventi negativi” al dolo, è palese seguendo la penna del giudice: il “quartetto” ha agito per impedire il soccorso da parte di altre persone. Lo ha fatto spostandolo il corpo del giovane ancora in vita, nascondendolo e abbandonandolo. Ma ha anche interrotto “un personale intervento soccorritore”; come quello della madre di Matteo, che all’una di notte ha telefonato al figlio, ormai in uno stato di «totale incapacità di locomozione e autodeterminazione», chiedendo come mai non era ancora rientrato, dato che il giorno dopo aveva una verifica d’inglese. Ha risposto Beatrice, raccontando che il 18enne era in bagno e che presto sarebbe tornato a casa. Una volta conclusa la telefonata, la 22enne decise di spegnere il telefono dell’amico. Chiaro segnale, per il gip, di una decisione ormai presa, di una «condotta materiale e morale» capace di accettare il rischio che la vita di “Balla” potesse spegnersi spostandolo in un luogo appartato, «determinando una lenta e sofferta agonia mortale». Fu questo il prezzo di «una diabolica scommessa: attendere che il ragazzo si riprendesse miracolosamente da solo, con l’accettazione del rischio previsto, concreto e attuale che potesse anche morire». Tutto ciò per garantire l’impunità della ragazza, l’unica fra i quattro, che ormai si era esposta troppo.