Lugo, il sindaco Ranalli: «Il decoro della città è la mia ossessione, l’erba che spunta dai marciapiedi mi fa innervosire»

Lugo

Ancora qualche mese e sarà sempre un sipario a far parlare di Lugo: quello del Teatro Rossini, che dovrebbe alzarsi probabilmente a metà maggio, e quello ancor più importante che calerà sul sindaco Davide Ranalli qualche settimana dopo, al termine del secondo mandato.

E così ieri, a dieci anni da quando ufficializzò la sua candidatura, il primo cittadino ha voluto salutare il 2023 facendone la sintesi, come di consueto, e consapevole del fatto che sarà l’ultima volta che potrà farlo in Rocca, augurando il meglio alla cittadinanza. Almeno non prima del 2029.

Dai brutti ricordi, come i danni dell’alluvione e del tornado, a quelli più belli dell’inizio della ripresa, come la riapertura delle scuole ha dimostrato e dimostrerà, con il ripristino della Capucci, dopo queste festività.

Ma anche qualche anticipazione su quelle che saranno le novità del prossimo semestre, tra cui la collocazione nel ghetto ebraico di via Matteotti della pietra d’inciampo dedicata alla memoria della lughese Ida Caffaz, il ritorno del Giro di Romagna in aprile e l’auspicata concretizzazione del bando per la riqualificazione dello stadio Muccinelli.

Mentre si prepara al brindisi per la mezzanotte di domani in piazza, promette di non versare nessuna lacrima quando passerà la fascia tricolore, al contrario invece del giugno del 2014, quando il brindisi era per festeggiare la prima e sofferta vittoria, siglata dall’abbraccio della mamma, che non avveniva dai tempi di quando per la testa il giovanissimo Ranalli aveva solo i giochi con gli altri bambini.

«Un decennio molto intenso - racconta il sindaco - scandito da una prima fase della soggezione del ruolo di chi così giovane si appresta ad affrontare una sfida importante in cui il bagaglio di esperienza politica doveva trasformarsi in capacità amministrativa. Anni in cui ho imparato moltissimo e sono cambiato altrettanto».

«Una trasformazione – sottolinea Ranalli – che abbiamo voluto declinare sulla città e sulla sua visione, pensandola ampia e complessiva. Gli elementi della vivacità e del rilancio hanno certamente caratterizzato la cifra stilistica con cui abbiamo portato avanti questa azione amministrativa».

In primis dunque la rigenerazione urbana, quella che ha interessato l’ex acetificio Venturi nel quartiere Madonna delle Stuoie e la viabilità, ma anche piazza Savonarola e gli ultimi due arrivati, l’Auditorium e la meno attesa nuova scuola di Largo Corelli.

Negli ultimi anni invece Davide Ranalli rivendica l’innalzamento e il ricollocamento della città nell’ambito di quelle più prestigiose, l’arrivo dell’Università e un bilancio molto più solido di quello lasciatogli in eredità.

Sindaco, ha già pensato a quale sarà la sua professione dal giugno prossimo?

«Ci ho già pensato. Sto valutando una serie di opzioni che sono arrivate e potrebbero anche portarmi momentaneamente lontano dall’ambito della politica. Tra le varie possibilità, ce ne sono alcune che mi trascinerebbero un po’ lontano dalla mia grande passione, dalla quale come si suol dire “non ci si dimette mai”. Sto meditando».

Mancano pochi mesi alle Amministrative e ancora il suo partito non ha ufficializzato un nome. Nella scelta di chi prenderà il suo posto vorrà avere un ruolo attivo sia nella decisione che nella promozione?

«Essendo un dirigente del Partito Democratico, credo e spero di poter dare un mio contributo nella ricerca della figura più adeguata, senza aver l’idea di mettere “il timbro”. Credo invece che sia buon costume che il sindaco uscente non abbia alcun ruolo nell’orientare le decisioni che chi arriverà dovrà assumere».

Che comunque dovranno essere in continuità con ciò che ha fatto lei?

«Io non credo nella continuità, così come non credo nella discontinuità. Ogni volta che si cambia sindaco, credo che si aprano delle fasi nuove, che in questo caso sarà ancora più nuova, perché ci sarà l’elemento della ricostruzione, centrale per almeno i primi anni di mandato. Queste nuove fasi, dunque, devono essere interpretate e ripensate. Ho imparato a conoscere molto bene questa città e che cosa desidera, ma anche la rabbia durante i giorni dell’alluvione, e credo che serva qualcuno che sappia tenere insieme. Questo sarà fondamentale».

Ora parliamo un po’ del passato e del presente. C’è qualcosa che crede di non essere riuscito a realizzare nonostante fosse importante per lei?

«La cosa che in questi dieci anni mi ha assillato di più è stata l’impossibilità, talvolta, di riuscire a vedere complessivamente il decoro della città come avrei voluto. Ancora oggi, faccio un esempio un po’ particolare, vedere dell’erbetta spuntare dai marciapiedi mi fa “innervosire”».

E invece se potesse tornare indietro, cosa non rifarebbe?

«Non ripeterei un certo tipo di atteggiamento che a volte ho assunto con persone che non erano d’accordo con me. Alcune relazioni, sia di carattere politico che personale, avrei potuto gestirle con un approccio e uno stile diverso. Tuttavia, riconoscerlo per me è un bene, perché vuol dire che in questi dieci anni ho acquisito una maturazione».

Ci sono progetti o iniziative che lei in questi anni ha fortemente voluto e che ora teme possano essere interrotti o modificati nell’eventualità che la prossima Amministrazione non sia più di centrosinistra?

«No. Nel senso che quello che io sto percependo è che il centrodestra in questa città ha una classe dirigente, fatta di giovani, appassionati e in alcuni casi anche colti. E questa è una questione che non può essere sottovalutata, da nessuno. Credo che quando una forza politica o uno schieramento ne mostri una degna d’essere chiamata tale, che non è sempre scontata, si possa essere abbastanza fiduciosi del fatto che possano essere conservate anche le cose più identitarie che sono state realizzate a Lugo. Faccio un esempio, non sono preoccupato che con l’eventuale vittoria del centrodestra si possa smettere di fare un Ravenna Festival. Il centrodestra ha fatto un’operazione intelligente: non si è accontentato della potenzialità che hanno i loro simboli di partito, ma è riuscito a trovare una classe dirigente in grado di aprirsi verso la società. Ed è per questo che la sfida del centrosinistra sarà anche cercare figure che siano molto inclusive. Ho incrociato in un bar l’altro ieri due di loro (il riferimento è a Gian Marco Grandi e Riccardo Vicari, giovani esponenti di FdI, ndr) e mi sono fermato a fare una breve chiacchierata, trovando due persone che hanno senso delle cose e della politica. Non li voterei – risponde sorridendo – però al cinema con loro ci andrei, molto volentieri».

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