Lugo, il dj sulle tracce del bisnonno scomparso: un libro racconta una grande avventura

Lugo

Per anni il nome del suo bisnonno, Tobia Bendazzi, lo aveva potuto leggere solo nella lapide che nella piazza di Villanova di Bagnacavallo commemora i caduti delle guerre, quella frazione in cui lo stesso aveva vissuto fino all’età di 34 anni, fino al giorno in cui la guerra lo volle con sé, senza mai più restituirlo.

In realtà Max De Giovanni, dj di professione e scrittore per passione, quel lontano parente lo aveva ritrovato anche in vecchie lettere dal fronte che la famiglia conservò e nelle tante storie farcite di ricordi che i nonni gli avevano raccontato.

E così, da buon ricercatore d’archivio, come ha dimostrato con le prime pubblicazioni sulla nightlife e il mondo della musica dance dei tempi che furono, la voglia di ricostruire la vita e la scomparsa del bisnonno lo ha tenuto impegnato per molti anni.

Quelli necessari per scrivere e mandare in stampa “Cercando Tobia”, un lavoro trasversale che tocca diversi punti: da un lato le varie fasi della ricerca attraverso archivi di Stato italiani ed europei e dall’altro i contatti con discendenti di commilitoni rintracciati con un lavoro paziente e certosino.

Del bisnonno infatti dall’ottobre del 1917 - nei giorni di Caporetto, nella Prima guerra mondiale - non si saprà più nulla e tre mesi dopo verrà dichiarato ufficialmente irreperibile.

Tuttavia, non passa nemmeno un anno che nella casa di Mezzano dove vivono la moglie Ida e le due figlie, arriva una cartolina di Marino Zanotti, prigioniero del campo di Zwickau in Germania. Chissà quanto tempo prima.

Poche righe in cui mette nero su bianco, più simile a un giallo sporco di trincea e sofferenza, che Tobia Bendazzi è con lui e al più presto farà avere sue notizie. In realtà quelle intenzioni verranno disattese e il motivo è ben intuibile.

«Rintracciare la figlia di Marino Zanotti e due nipoti dei suoi compagni d’arme che scrivevano materialmente le lettere alla famiglia, perché Tobia era analfabeta, è stato per me come chiudere il cerchio – racconta Max De Giovanni -. I due militari in seguito, non sapendo della morte di Tobia, scrivono alla mia bisnonna la tragedia di quei giorni, i sanguinosi combattimenti, la disperazione al fronte. Le nipoti, che sono riuscito faticosamente a rintracciare, invece non hanno ricordi diretti dai nonni e neanche indiretti dai genitori, perché non hanno mai parlato in famiglia di quei giorni, della prigionia e delle sofferenze. Hanno cercato comprensibilmente di dimenticare, o meglio ci hanno provato».

Trovare riscontri non è affatto facile e gli strumenti ancora più ostici: partendo dal foglio matricolare del bisnonno ai diari di reggimento dell’Archivio militare a Roma, e poi ancora la Croce Rossa internazionale e gli Archivi di Stato.

La ricerca è ardua, ma De Giovanni decide di avvalersi anche della biblioteca di Zwickau, in Germania, e consultare gli elenchi online dei sepolti nei cimiteri di guerra all’estero.

Molti di quei documenti, peraltro, sono andati persi o distrutti e quindi la verità è un po’ una scommessa col destino, quella con la speranza già persa a suo tempo dal bisnonno.

«La storia di quei giorni tremendi è testimoniata dalle tante lettere dal fronte conservate per anni nell’archivio familiare – conclude l’autore - nelle quali traspaiono sentimenti veri quali amicizia, fratellanza, solidarietà, rispetto, nostalgia per gli affetti lontani, ma anche paura per quel senso ineluttabile di morte che accompagna le giornate dei soldati. Alla fine penso che la storia del bisnonno che ho ricostruito e raccontato sia uno spaccato di vita e animo degli uomini che in quegli anni hanno popolato, purtroppo per poco tempo, i nostri territori. Ricordi e testimonianze che forse potrebbero essere una bussola».

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