Il sindaco di Massa Stefano Sangiorgi: “Sogno un giro in moto con Obama a vedere la partenza dello Shuttle”

Stefano Sangiorgi, partiamo dall’inizio: ce li elenca i pregi e i difetti con cui i suoi concittadini la descrivono?
«Sicuramente il pregio maggiore, ma contestualmente anche il difetto, è la disponibilità. Tendo a fermarmi ad ascoltare tutti, a volte parcheggio alle 8 e arrivo su in ufficio alle 10 passate. Sono uno dei sindaci che segue e risponde maggiormente sui social nonostante molti miei collaboratori mi invitino a non farlo perché dicono che mi faccio venire il sangue grosso. Da un lato hanno ragione, dall’altro purtroppo quando leggo certe provocazioni o segnalazioni sbagliate non riesco a trattenermi. È più forte di me. Sono molto autocritico, sono uno di quelli che non si accontenta mai, non si piace quando si guarda allo specchio e quindi credo di non aver abbastanza spazio per elencare quelli che penso siano i miei difetti».
E corrispondono con quanto dicono gli addetti ai lavori?
«Direi che corrispondono abbastanza. Sicuramente il tentare di essere tuttologo da un lato ti fa apparire in maniera positiva ma dall’altro riesci ad essere un po’ meno pragmatico»
Dei suoi 8 colleghi sindaci nell’Unione chi è quello con cui c’è maggior sintonia?
«La squadra che si è formata è ottima e coesa, quasi tutti allineati anche come fascia di età tolto il giovanissimo e omonimo Andrea di Conselice: tutti ci chiedono se siamo parenti e in realtà potrebbe essere mio figlio, ma per sua fortuna non lo è. Visto che mi obbligate a scegliere, posso dire che ho avuto subito un ottimo rapporto con il sindaco di S.Agata Riccardo Sabadini».
Tra le sue passioni c’è sicuramente la montagna: ci spiega cosa c’è di bello nel complicarsi la vita e consumarsi le articolazioni scegliendo quei dislivelli per correre come fa lei?
«La montagna è da sempre un luogo magico: la fatica, lo sforzo e il dolore, mi trovo soprattutto nell’ultimo anno a ricercarli spesso per una sfida con me stesso e per superare i miei limiti. Cosa che cerco di fare tutti i giorni anche sul lavoro. Solo in montagna possono esserci quei momenti magici durante un tramonto o un’alba dove l’unico rumore che senti è il tuo respiro e i battiti del cuore: quando termini una salita e riesci ad arrivare in cima senza mai esserti fermato e averla ti dici dentro di te ”non sono un campione non avrò mai il motore di un campione però ce l’ho messa tutta, non ho fatto il record mondiale ma per me è una grande vittoria”».
Rimaniamo in quota; da buon esperto di arrampicata, le è mai capitato di doversi arrampicare sugli specchi per cercare di risolvere un problema?
«La prima regola quando si arrampica è studiare il percorso, essere consapevoli dei propri limiti e delle capacità tecniche, altrimenti si rischia la vita inutilmente. A volte, sì, mi è capitato di arrampicarmi sugli specchi per tentare di nascondere delle stupide bugie che si sono dimostrate sempre avere le gambe corte. Però ritengo di essere uno che non lo fa spesso, se c’è un problema va riconosciuto: nascondere polvere sotto al tappeto non fa altro che aumentarne la quantità ed il rischio di bruciare l’aspirapolvere quando si tenta di pulire».
Prima di tornare in pianura, non ci parli del trekking, ma ce li elenca i “tre king” che hanno segnato la sua vita?
«Domanda difficilissima. Galileo Galilei, la sua intelligenza e smodata passione per la ricerca scientifica mi hanno fatto innamorare di lui fin dall’età delle medie. Falcone e Borsellino li considero una persona sola. Ero bambino quando iniziai a sentire di questi due personaggi. Allora non ci diedi tanta importanza, ma adesso mi rendo conto di quanto anche solo il messaggio subliminale che hanno lasciato alle generazioni future sia stato importante per la mia crescita e lo è per i nostri figli. Il terzo posto lo dedico a mio padre, una persona con un carattere molto difficile, un burbero oltre ogni limite che mi dicono abbia fatto fatica a prendermi in braccio da piccolo e raramente l’ho sentito dire “ti voglio bene”, ma che con i suoi modi di fare e il suo crederci a quello che dice e che fa mi ha sicuramente dato un esempio che mi sta aiutando molto nella vita».
La sua compagna ci dice che, appena sotto lei e i suoi figli, l’altro suo grande amore è la moto; c’è un personaggio inarrivabile che caricherebbe dietro di lei per un bel giro?
«La moto è sempre stata una droga più che una passione, mi sono fatto tutte le superiori, sole, acqua, neve e ghiaccio. Da subito con un Ciao del 1969. In famiglia ne abbiamo diverse, una sorta di micro museo d’epoca e non. Mi piacerebbe caricare Barack Obama, con lui la meta sarebbe vedere la partenza dello Shuttle per poi restare ad ascoltarlo incantandomi con le sue doti di oratore. Se posso permettermi di scendere nella realtà e senza rischiare di passare per un mammone nostalgico mi piacerebbe caricare mia madre e portarla a fare un giro, purtroppo un sogno irrealizzabile in quanto soffre di una malattia degenerativa. La meta sarebbe semplicemente casa sua per vedere i nipotini».
Adesso invece pensi a qualcosa di bizzarro della sua gioventù; c’è una canzone che glielo ricorda particolarmente?
«“Basta un giorno così” degli 883. È quella che ho ascoltato in assoluto più volte andando e tornando da scuola con il walkman dentro al casco.... È la canzone che mi ha accompagnato nei momenti in cui facevo sboccia per sperimentare nuove strade in collina e verso il mare col mio amato scooter».
Tra un po’ anche lei partirà per le ferie; ce la svela una capitale nel mondo in cui vorrebbe catapultarsi e, magari, pensare di poterne diventare sindaco?
«Purtroppo il mio grande limite è quello che le rare volte che vado in vacanza tendo sempre a restare vicino a casa perché penso che possa sempre accadere qualcosa e che io debba esserci. Mi piacerebbe tantissimo Reykjavik, perché uno dei miei sogni nel cassetto è vedere l’aurora boreale, anche se non fossi sindaco di quella città».