Caso Poggiali. Parla il figlio di Rosa Calderoni: "Mamma insepolta"

Nove anni dall’8 aprile 2014. Un anniversario che mai come ora fa male. Per tutto questo tempo Viviano Alci ha scelto il silenzio, attendendo risposte sulla morte improvvisa di sua madre, Rosa Calderoni, deceduta a 78 anni in circostanze ritenute sospette all’ospedale di Lugo. La verità processuale su un caso giudiziario senza precedenti che ha attraversato 7 processi, è arrivata al responso finale dello scorso 24 gennaio, quando Daniela Poggiali, ex infermiera dell’Umberto I accusata di avere deliberatamente ucciso la paziente somministrandole una dose fatale di potassio, è stata assolta in via definitiva.
Ora il figlio dell’anziana - parte civile per tutta la durata del processo con l’avvocato Marco Martines - condivide la sua amarezza, perché «dall’8 aprile 2014 - scrive - mia madre è come insepolta per noi figli, che ancora ci troviamo senza la risposta cui avremmo diritto sul perché e per che cosa è morta in modo così inaspettato, e viviamo male questa angoscia che non ci lascia mai». Ricorda, Alci, il giorno in cui «i carabinieri mi chiamarono per consegnarmi un foglio con degli articoli di legge, senza spiegarmi cosa significassero ma invitandomi a rivolgermi a un avvocato». Nove anni dopo «il bilancio amaro» è quello di un figlio che di fronte alla tomba della madre, oltre al ricordo delle sue «ultime serene parole “quando vengo a casa vi faccio i cappelletti”», si trascina inevitabilmente le sofferenze vissute nel corso di un processo infinito. «Mi sento vittima di qualcosa più grande di me, e ti sento vittima di quello stesso qualcosa: la mancanza di una parola vera sul se mi sei mancata come prima o poi ogni madre manca al proprio figlio, o sul se mi sei stata tolta, come non dovrebbe succedere mai», scrive Alci rivolgendosi in prima persona alla madre defunta. Continua riferendosi alle perizie e consulenze scientifiche che hanno ribaltato l’esito del processo, dall’ergastolo comminato in primo grado alle assoluzioni successive: «Mi sento vittima e ti sento vittima di una scienza prima presa per certa e poi rinculata in un sapere impotente». E ancora, tira in ballo le prime indagini interne effettuate dal personale ospedaliero, che hanno fornito l’assist alla difesa dell’ex infermiera (tutelata dagli avvocati Lorenzo Valgimigli e Gaetano Insolera) nel contestare la genuinità della filiera di conservazione delle prove: «Mi sento vittima e ti sento vittima di una gestione (cui posso riconoscere solo la buona fede) che, prima dell’intervento della Procura, aveva lasciato che si perdessero pezzi di verità poi irrecuperabili».
Trovano spazio anche parole di rammarico per certi commenti, bollati come «pregiudizi di chi non conosce i fatti e parla di un processo nato su mia denuncia (e da me “perso”) che doveva farmi “ricco”. Io che questo processo l’ho subito, senza denunciare nessuno, senza mai frequentare i media o sollecitarli».
Il fatto non sussiste per i giudici. Significa in buona sostanza che Rosa Calderoni non è stata assassinata. «Ecco, è ben strana una verità ufficiale per cui vittime non ci sono, che produce invece tante ragioni tutte insieme per essere e sentirsi tali», commenta il figlio della 78enne scomparsa, che conclude: «Tornerò ancora, l’8 aprile, sulla tomba di mia madre, e le dirò: scusa mamma, per non aver cercato di far capire a tutti quelli che vorranno farlo quello che ci siamo detti qui, durante questi anni».