"Almeno il triplo dei decessi quando la Poggiali era in corsia"

Lugo

Il risultato statistico è di per sé inquietante: presa Daniela Poggiali, e confrontata con qualsiasi altra infermiera del reparto di Medicina dell’ospedale di Lugo con le stesse caratteristiche di turno e orari, emerge che il tasso di mortalità in corsia quando lei era in servizio all’Umberto I era tra le 3 e le 5 volte superiore rispetto alla media. La conclusione della perizia statistica affidata dalla Corte d’assise d’appello di Bologna al professor Alessio Farcomeni dell’università di Roma “Tor Vergata” è un volano per le accuse nei confronti della 48enne di Giovecca, tornata in carcere lo scorso dicembre sulla base di un’ordinanza che la descrive come una serial killer. Lo studio non ha alcun valore di tipo causale, cioè non afferma che l’imputata sia responsabile di quei decessi. Ma i giudici dovranno tenerne conto in entrambi i processi che il 25 ottobre porteranno a due sentenze: quella relativa al presunto omicidio del paziente di 94 anni Massimo Montanari, deceduto inaspettatamente il 12 marzo 2014, per il quale la Poggiali è stata condannata l’anno scorso a 30 anni in abbreviato e quella per la morte della 78enne Rosa Calderoni, deceduta l’8 aprile seguente e – secondo quanto contestato – assassinata dall’ex infermiera con dosi di potassio.

Comparate più colleghe

L’esito dello studio è stato presentato ieri di fronte alla corte presieduta dal giudice Stefano Valenti. Percorsi e metodologie di analisi diverse, utilizzate dall’esperto, portano allo stesso risultato, che tiene conto «di alcuni fattori confondenti noti e misurabili». Rimarca «una sostanziale associazione positiva tra il tasso di mortalità registrato e lo stato in servizio dell’imputata». Evidenzia inoltre che nell’ultimo semestre, in particolare intorno al dicembre 2013, ci sia stata un’impennata nei morti che porta a quantificare per la Poggiali «un numero di decessi circa il quadruplo rispetto a quello atteso per il resto del personale sanitario considerato». Lo si nota soprattutto nei turni mattutini, un po’ meno in quelli pomeridiani. Di notte, stranamente, no. «E’ una cosa che mi ha colpito», dice il perito in aula, senza però trovare una spiegazione statistica. «E’ l’unico campo d’indagine in cui c’è un appiattimento», nota il presidente, «non può essere che gli infermieri dormicchiano e i morti della notte vengano constatati la mattina?».

Esperti a confronto

A dare peso al calcolo statistico-forense-medico era stata la Corte di Cassazione. Annullando per la seconda volta l’assoluzione dell’ex infermiera in Appello per il “caso Calderoni” (dopo l’ergastolo in primo grado), gli Ermellini avevano dato precise disposizioni affinché i nuovi giudici prendessero in considerazione l’esito della consulenza affidata dalla Procura al professor Rocco Micciolo e al medico legale Franco Tagliaro, valutandola nel complesso quadro indiziario. Lo studio aveva a suo tempo riportato cifre precise: a partire dal fatto che dei 191 decessi totali, 139 fossero avvenuti nel settore della Poggiali e in quello comunicante, a fronte dei 52 negli altri due non comunicanti, con un picco di 16 decessi a settimana durante i turni della 48enne contro la media di 4,7 dei colleghi. Risultati in linea con la nuova perizia, descritta dallo stesso consulente chiamato dal procuratore generale Luciana Cicerchia come ancora più puntuale: «Più si controlla e più sembra che l’associazione aumenti».

L’esperta della difesa

Diversa la conclusione della professoressa Julia Mortera, consulente degli avvocati Lorenzo Valgimigli e Gaetano Insolera, difensori dell’imputata. Insiste sul fatto – condiviso da tutte le parti – che fattori «non misurabili, non misurabili e ignoti» non possono portare a interpretazioni causali. Cita tassi di mortalità dei reparti di Medicina di Faenza e Ravenna, «sovrapponibili a quelli di Lugo». Evidenzia che «nel periodo in cui venne notato l’eccesso di decessi ci fu un aumento di ricoveri». Parla di «numerosissimi errori nei registri che attribuivano i settori agli infermieri, indicandoli talvolta contemporaneamente in due aree», chiedendo a perito e consulenti dell’accusa come abbiano fatto a ripulire i dati. Pronta la risposta del professore romano: «Con grande difficoltà, ma sono errori comuni e presi in considerazione, valutando, oltre all’affidabilità del dato, anche l’ignorabilità di certe anomalie».

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