Lugo, accuse alla psichiatra del Sert: "Metadone a paziente ignota"

Lugo

Pur ricevendo periodicamente metadone dal Sert, nessuno (o quasi) tra gli psichiatri del servizio per le tossicodipendenze sapeva che fosse una loro paziente. Un caso di “super anonimato”; possibile sì, ma rarissimo e dai contorni insoliti, che si sono fatti inquietanti quando il 12 aprile 2017 all’interno di un’auto lasciata in un parcheggio assolato a Lugo è stato rinvenuto il corpo del 19enne Matteo Ballardini, morto per overdose. Per le boccette di metadone trovate a bordo della vettura sono ora a processo non solo la paziente “fantasma” del Sert, la 24enne Beatrice Marani, amica del ragazzo e già condannata in appello a 4 anni e 10 mesi per avergli ceduto la dose fatale. Con lei, tra gli imputati, c’è anche sua zia, Cosetta Marani, all’epoca infermiera all’Ausl di Imola, che avrebbe fatto da tramite nell’approvvigionamento di sostanze psicotrope alla nipote (sono entrambe tutelate dal legale Fabrizio Capucci). Infine c’è anche la psichiatra Monica Venturini (difesa dagli avvocati Sandra Vannucci e Alessandra Marinelli), che prese in carico la ragazza, inserendola nel sistema in forma anonima, senza condividere la sua identità con gli altri colleghi se non dopo l’inchiesta della magistratura. Sono accusate a vario titolo di peculato, perché le dosi spacciate erano proprietà dello Stato, ma anche di falso, per la contraffazione dei certificati medici, e per avere prescritto abusivamente sostanze stupefacenti.

Il direttore del Sert

Un caso choc, che ha portato ieri in tribunale l’ex responsabile del Sert Giovanni Greco, fra i testimoni chiamati a deporre dal sostituto procuratore Marilù Gattelli: «La Venturini mi disse che era una familiare di un medico e che se ne sarebbe occupata lei perché era una questione molto delicata. Mi raccomandai di tenermi aggiornato, ma non lo fece». Senza presentare in équipe la paziente, la dottoressa avrebbe compilato la cartella clinica con le sole consonanti del cognome “MRN” e vocali del nome “EA”. Ecco perché non emerse il suo nominativo quando la polizia di Stato chiese se fosse registrata nel sistema. La procedura da seguire, ha specificato il direttore, «raccomanda di visitare di persona il paziente per verificare l’appropriatezza del trattamento», prevede controlli «settimanali o bisettimanali», e soprattutto l’esame delle urine per controllare che il paziente non continui a drogarsi e che «se interrotto comporta l’interruzione della somministrazione della terapia». Di tutto ciò non c’è tracia nella cartella clinica ricondotta a Beatrice Marani.

La psichiatra

«La dottoressa Venturini ci informò al rientro dalle ferie, quando già la questura ci aveva chiesto di controllare nel nostro database, che la paziente Marani era sua». Questa la dichiarazione della dottoressa Stefania Saraca, chiamata a sua volta a ricordare le indagini interne di quattro anni fa. Altre le stranezze del caso: il fatto che i pazienti solitamente siano seguiti dal Sert di residenza, e in questo caso la ragazza era stata registrata a Ravenna e non a Lugo. Insolita anche un’altra circostanza dichiarata all’epoca delle indagini, quando disse che non fu trovata alcuna delega scritta per consentire alla zia della Marani di ritirare il metadone al suo posto. Eppure, ha spiegato, «le infermiere incaricate a distribuire i farmaci sono molto scrupolose». Sta di fatto che una delle dosi consumate la notte del dramma nell’auto di “Balla” era stata erogata a febbraio. La Marani avrebbe già dovuto assumerla. Invece l’aveva tenuta tra le scorte spacciate agli amici, vantandosi di avere un aggancio alla fonte.

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