Lucrezia Lante Della Rover al teatro Pazzini di Verucchio

Continuano gli appuntamenti di prosa a Verucchio, e questa sera salirà sul palcoscenico del teatro Pazzini l’attrice Lucrezia Lante Della Rovere con “L’uomo dal fiore in bocca”, un testo di Luigi Pirandello riadattato e diretto da Francesco Zecca.

Lo spettacolo, dall’atto unico dello scrittore siciliano presentato per la prima volta nel 1922 al teatro Manzoni di Milano, affronta da vicino il tema della morte imminente e ha come protagonista una figura femminile, la donna vestita di nero. Il testo di Pirandello mette al centro il dramma di un uomo che decide di allontanarsi dalla vita e anche dalla moglie che rappresenta il passato, i ricordi, la vita stessa. Lo spettacolo con Lante Della Rovere dà voce alla donna muta che Pirandello ha solo fatto intravedere. «Basta scambiarsi un bacio per sentire lo stesso gusto della vita? – si legge nelle note di regia di Francesco Zecca –. Basta avvicinare le labbra al proprio amore per sentirne il sapore? Basta sciacquarsi la bocca con il presente per non sentire più il sapore persistente del passato? La vita è ingorda, non ti lascia che i resti da assaporare, ci sono ricordi il cui gusto rimane tutta la vita e non c’è spazio per altro. Solo per l’immaginazione. E a lei, la donna vestita di nero, la moglie dell’uomo dal fiore in bocca è l’unica cosa che è rimasta “attaccarsi così, con l’immaginazione alla vita”. I suoi occhi così dentro e così attaccati a lui, da non volerlo far andare via. Non ancora. Noi abbiamo dato voce a quella donna muta e dolorante, quella donna vestita di nero che Pirandello ci ha fatto intravedere solo dietro a quel cantone».

Lante Della Rovere, come viene rappresentata questa donna?

«Nel racconto di Pirandello questa donna è praticamente una didascalia – racconta l’attrice –. La storia originale è incentrata sul marito che decide di cacciare la moglie per vivere da solo l’esperienza della malattia andando incontro alla morte e che addirittura quando la pensa dice che vorrebbe darle dei “calci in faccia”. In scena viene ora presentato il punto di vista della donna che ha vissuto tutto spiandolo di nascosto, mentre avrebbe desiderato stare accanto al marito fino all’ultimo. La nostra storia comincia quando l’uomo è già morto e lei attua un gioco di immaginazione per capire cosa possa aver provato lui. Si chiede perché non abbia potuto godere con lui degli ultimi fili d’erba o giorni di vita che rimanevano da trascorrere insieme. Lei diventa lui, ma mentre il marito rappresenta la retorica, lei è tutto un “perché”. Si fa domande sul senso della morte e anche della vita stessa. Sul finale però è la vita che trionfa, prende il sopravvento e vince su tutto. I punti cardine della pièce sono la malattia, l’amore, la morte e la vita. C’è anche la metafora con il periodo di stallo che stiamo vivendo in cui arriva comunque la vita a sorprenderci».

Anche il teatro può aiutare a mantenerci vivi in questo momento?

«Sì, perché abbiamo bisogno di continuare a immaginare, di raccontare storie. Da attori ci attacchiamo alla vita degli altri, interpretandoli, e abbiamo assolutamente bisogno di continuare questo gioco che è il nostro mestiere. Questo spettacolo rappresenta anche la volontà di continuare a fare il nostro lavoro».

Dopo la data a Verucchio, lo spettacolo sarà in scena l’1 e 2 febbraio al teatro comunale Walter Chiari di Cervia. Quali ricordi la legano a questa zona?

«Tra Cervia e Milano Marittima nel 1988 ho girato la mia prima serie televisiva dopo il debutto in “Speriamo che sia femmina” di Mario Monicelli. Si intitolava “Quando ancora non c’erano i Beatles” per la regia di Marcello Aliprandi e ero incinta delle mie gemelle».

Inizio alle ore 21.15

Info e prenotazioni: 320 5769769

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