Lucio Pompili, il vino dello chef racconta le Marche

«Della terra bisogna occuparsene e preoccuparsene». Lucio Pompili è un uomo che potrebbe a buon diritto volare alto, perché con i suoi piatti ha davvero contribuito a scrivere gli ultimi quarant’anni della cucina italiana. Specialmente quando si parla di cacciagione, della quale è il maestro incontrastato e indiscusso. Col suo ristorante Symposium di Cartoceto, sulle colline della provincia di Pesaro e Urbino, ha mostrato al mondo, in tempi non sospetti, cosa volesse dire cura del territorio. Perché i suoi piatti, così come il sottotitolo del suo ristorante, “Quattro Stagioni”, sono la celebrazione delle Marche, a cui Lucio aggiunge un non comune sguardo al futuro, che gli ha consentito negli anni di creare un’originalità divenuta simbolo. Al punto che fino al 2015, quando decise di chiudere il suo ristorante per tre anni, il Symposium vantava la stella Michelin. Ecco, nonostante tutto questo, nonostante le celebrazioni della critica e quarant’anni di attestati di stima, lo chef marchigiano è un “omone” a cui piace volare basso. Quando lo conosci la prima volta non ti porta in cucina, ma nel suo vero regno: quell’orto di circa un ettaro dove coltiva praticamente di tutto, garantendosi i prodotti per rendere quel sottotitolo un impegno verso i clienti.

Ebbene sì, per Pompili essere un contadino è motivo di orgoglio e la qualità un concetto sul quale gli sconti non sono ammessi. La sua speranza, da anni, è che la terra non sia solo un luogo di ripiego, ma diventi un punto di rinnovato ritrovo anche per le intelligenze.

Lucio e il vino

Ma ora veniamo alla domanda: chi lo ha detto che un grande chef non possa essere anche un ottimo produttore di vino? Pompili ne è l’esempio più calzante. Basti pensare al fatto che, come nome del suo ristorante, ha pescato proprio dalla tradizione antica greca e romana del simposio, ossia la parte del banchetto dedicata alla degustazione del vino. L’attenzione verso il nettare di Dioniso per Lucio è un qualcosa che nasce dal profondo, e la cantina del suo ristornate è a dir poco strabiliante. Il giacimento enologico che riposa nei piani inferiori del Symposium è considerato tra i più preziosi d’Italia, con verticali di Château d’Yquem e di Château Lafite che raramente si possono vedere in giro per il mondo. In totale ci sono al suo interno qualcosa come 30mila bottiglie di vino di 2.200 etichette differenti. Per anni, poi, lo chef ha fatto delle collaborazioni con piccoli produttori locali il suo punto di forza, con l’obiettivo dichiarato di dare loro impulso e visibilità. Un capitolo importante, questo, che non si è mai chiuso, ma che da qualche tempo ha deciso di arricchire, ancora una volta, con qualcosa che si potesse definire di assolutamente personale.

Di recente, infatti, il “cacciatore” (come lo chiamano alcuni per via della sua capacità nel cucinare la cacciagione) ha deciso di tentare una bella avventura in solitaria, piantando filari di Sangiovese autoctono piccolo e grosso sui pendii meglio esposti che si trovano attorno al suo ristorante.

Greppo di Sotto

È così che è nato il Sangiovese Greppo di Sotto. E la verità è che Pompili a fare il vino non è per niente male. Non solo ama degustarlo, ma è capacissimo di farlo. Le bottiglie sono il ricavato dello “sforzo” quotidiano di 3.800 piante sparse in mezzo ettaro di vigna, dove coltivazione e vendemmia vengono fatte rigorosamente a mano con sistema bio-dynamic. Questo vino proviene da viti che vengono coltivate secondo il sistema della vigna latina, che prevede il sistema di coltivazione “ad alberello” con sesto di impianto “a settonce”. Questa disposizione consente la massima qualità teorica di radici per unità di superficie, fattore importantissimo ai fini della qualità dell’uva che si andrà a produrre.

In ogni caso non c’è da temere, la passione per il vino non ha scalfito di un solo millimetro quella che Pompili prova per pentole e fornelli. Perché come dice lui stesso: «Nonostante diversi tentativi…non riesco a smettere di fare il cuoco!».

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