Lotta tra galli. Il marchio del Chianti perde l'esclusiva

Faenza

È la storia di Davide contro Golia. Da un lato una piccola azienda faentina di serigrafia e abbigliamento, nota entro i confini manfredi per il brand “Furia Romagnola”; dall’altra un colosso toscano del settore vitivinicolo conosciuto in tutto il mondo: il Consorzio del Chianti Classico. Al centro della contesa un gallo, o meglio, il gallo inserito nei loghi di entrambe. Nessun problema, almeno finché i titolari della realtà imprenditoriale nostrana, Gabriele Severino e Michael Bassi, non hanno deciso di registrare il proprio marchio. È stato quello il passo che ha fatto sì che “Golia” si accorgesse del minuscolo avversario. Il Consorzio toscano si è opposto affinché l’Ufficio Italiano Brevetti sospendesse le pratiche, dando vita a un contenzioso che si è chiuso in questi giorni con la vittoria degli imprenditori romagnoli.

Il contenzioso

La diatriba risale al 2017, quando dalla provincia di Siena (dove ha sede il Consorzio) è partita la vertenza a tutela del marchio universalmente noto, che conta 500 aziende associate e oltre 40 milioni di bottiglie vendute in tutto il mondo con un fatturato di 265 milioni l’anno, di cui 2 investiti solo per promuovere le etichette certificate con il simbolo del “Gallo Nero”. Stesso animale ruspante, benché meno abbiente, quello scelto dalla Seve Serigrafia di Faenza per le t shirt “Furia Romagnola”, rappresentato a colori e con una caveja brandita da una zampa, sullo sfondo di una bandiera gialla e rossa. Differenze di fronte alle quali il Consorzio del Chianti non ha voluto cedere, affidando la vertenza allo studio fiorentino Mannucci, specializzato proprio nella tutela di marchi e brevetti. Tutelati invece dall’avvocato Nicola Montefiori, gli imprenditori faentini hanno difeso il proprio brand: nessuna intenzione di plagio, bensì l’idea di valorizzare la radice romagnola dei loro prodotti. Galli diversi - secondo la loro posizione difensiva - per provenienza geografica, storia e cultura delle due realtà. Quello toscano ricorda sì la disputa medievale tra guelfi e ghibellini. Ma è lo stesso animale che per la Romagna riporta alle radici etrusche, e che rappresenta, con l’attrezzo agricolo, un simbolo culturale oltre che territoriale. Altre differenze, per esempio merceologiche, erano importanti secondo la difesa della serigrafia: da una parte vino e olio, dall’altra capi d’abbigliamento. Insomma, come potrebbe il consumatore confondere due realtà così distanti? Su questa stessa posizione sembra essersi espressa la Divisione Affari Giuridici dell’Ufficio Italiano Brevetti, che ha respinto il ricorso del Consorzio del Chianti. E dire che di battaglie, i vini toscani ne hanno già vinte parecchie per rivendicare l’esclusiva. Non ne avevano persa ancora una; tra le più clamorose, menzionate durante le sedute del contenzioso, quella contro la nazionale francese di rugby. Sulla partita in questione, invece, hanno già presentato ricorso. Ma almeno per ora il derby tra galli lo ha vinto la Romagna.

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