L'Osservanza a Imola, la “casa” di Valerio. «Dove non entrava neanche Dio»

Imola

IMOLA. «Non entrava neanche Dio, perché era talmente distratto che se entrava lo si poteva anche bestemmiare senza che se ne accorgesse». Così, lo scrittore triestino Pino Roveredo, descriveva quel mondo senza luce, chiamato manicomio, che dal 1890 al 1996 ad Imola ha occupato i 123mila metri quadrati del complesso dell’Osservanza. Un gioiello ma solo dal punto di vista architettonico: ognuno dei sedici padiglioni storici, ora tutelati dalla Soprintendenza, si sviluppava su due piani, disposti in modo simmetrico tanto da farlo apparire una sorta di cittadella con lavanderie, officine, cucine, ma anche il teatro, la chiesa e gli spazi comuni.

Progetto Valerio
Così è stato, come detto, per 106 anni. Poi, finalmente, nel 1996 Imola è giunta al capolinea dell’esperienza avviata nel 1988 col progetto Valerio, dal nome dell’ultimo paziente liberato dalle cinghie che lo immobilizzavano al suo letto. Fu l’atto finale di un lungo e difficile processo di trasformazione che ha visto la progressiva dimissione di tutti i ricoverati e il loro inserimento nelle nuove case-famiglia sorte sul territorio. Si chiudeva una fase ma se ne apriva un’altra ancora più importante e difficile: la costruzione della “società senza manicomi” sognata da Franco  Basaglia, dove il malato di mente, diventava un paziente come gli altri, un cittadino che soffriva ed aveva diritto ad essere curato nel rispetto della dignità della libertà della persona umana. La legge Basaglia, ha scritto Norberto Bobbio, è stata la più importante riforma dal dopoguerra ai nostri giorni paragonabile per certi aspetti ad altre straordinarie innovazioni (l’ abolizione della schiavitù e dell’apartheid, la tutela del lavoro minorile, il voto alle donne) che hanno esteso il diritto di cittadinanza e dato concretezza al primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che recita testualmente: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Quella per superare i manicomi è stata una vera e propria guerra di Liberazione come quella avvenuta in Italia nel 1943-45. Nel 1961, infatti, nel nostro paese vivevano circa centomila persone negli ospedali psichiatrici. Quante vite spezzate e violate , quante storie di donne, uomini e purtroppo bambini reclusi, segregati, privati della libertà, della dignità e, soprattutto, del diritto di essere curati con umanità.

Le foto di un dramma
Uno spaccato che si può scoprire, rivivere, con la mostra fotografica “Immagini per non dimenticare” curata da Valter Galavotti dell’associazione “E pas e temp” che si occupa da anni di salute mentale. Trentasei grandi fotografie e 7 testi descrittivi che inquadrano le vicende e il clima di quegli anni. Momenti importanti del processo che portò alla chiusura del manicomio (convegni, laboratori, mostre, feste particolarmente suggestive come “Il sale e gli alberi”, durante la quale si sparse sale nei reparti perché non crescessero più luoghi di esclusione) e sono il frutto di una paziente ricerca che ha coinvolto oltre all’Ausl e al Dipartimento salute mentale di Imola numerosi archivi privati oltre a enti e associazioni impegnate sul fronte della salute mentale, quali “E pas e temp”, “Ca’ del Vento”, “La Cicoria”. Gli autori delle foto sono professionisti degenti, operatori, familiari o semplici cittadini.

Padiglione 9
Valter Galavotti, questa volta con Giampaolo Dall’Olio, al padiglione 9, cura anche la mostra “Fra palazzi ed osterie. I disegni di Celso Anderlini». Sono 180 lavori integrati da un’altra esposizione inedita di 15 disegni di Tonino Gottarelli dal titolo “Gottarelli e Anderlini ovvero quando il colore incontra il disegno”.

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