Lorenzo da Lugo: "Bloccato a casa da anni dico che la vita è bella"

Lugo

LUGO. «Tutto ciò non mi ha impedito di vivere l’infanzia con i miei coetanei, tirare calci a un pallone o sassi alle vetrate di vecchie case, giocare, correre come pazzi con le biciclette e andare a rubare la frutta nei campi». Quel “tutto ciò” è la Dmd (distrofia muscolare di Duchenne), una malattia genetica devastante e invalidante, che consiste nella progressiva e inarrestabile distruzione della massa muscolare, perdita di forza e delle funzionalità.

Lui è invece Maurizio Savioli, lughese, classe ’78, che ora vive la sua vita nella piccola frazione di San Bernardino, dopo esser stato per molti anni nella vicina Voltana. La sua storia è da leggere fermi e immobili, perché è così che lui vive da oltre 30 anni. Le prime anomalie nel modo di camminare compaiono a 5 anni, poi l’anno dopo gli viene diagnosticata la patologia. Per i genitori è difficile da spiegare, ma lui inizia a capire che c’erano dei problemi, e due anni più tardi viene a conoscenza di ciò che dovrà sopportare. Maurizio è già un piccolo guerriero e non lo spaventano le battaglie. Oggi è tracheostomizzato, passa da uno speciale letto con sollevatore a una tecnologica carrozzina. Deve esser assistito h 24. La sua vita è dentro quelle mura, muove gli occhi e la bocca, raramente gli è concesso di poter uscire in giardino o per una breve trasferta in città. Numerosi sono i congegni che ha per comunicare: scrive al computer con l’occhio destro usandolo come un mouse mentre la sua voce ora è molto più fluida grazie a una sua invenzione.

Qual è stata la sua prima reazione a questa sindrome?
«All’inizio non è stato facile, soprattutto quando verso 10 anni ho dovuto iniziare ad utilizzare la carrozzina: un momento difficile e delicato. Ho reagito facendomi forza, accettando i fatti per ciò che erano; in fondo la vita non era mica finita».

Quali altre complicanze si sono presentate successivamente?
«Nel corso degli anni ho avuto problemi legati alla mia condizione: in primis le continue cadute da bambino, poi la scoliosi a 15 anni che ha comportato un intervento per l’allungamento dei nervi. Dal 2003 utilizzavo una maschera collegata ai ventilatori per la respirazione forzata, finché nel 2008 si è resa necessaria la tracheostomia. Non è piacevole e nemmeno simpatico avere continuamente una spada di Damocle sopra la testa, perché non sai mai quanto potrà durare la vita; basta una semplice bronchite o una polmonite curata male per andarsene».

Oggi come sta?
«Bene, “non posso lamentarmi”».

Cos’è per lei la vita?
«È imparare sempre cose nuove, continuare a lottare, accettare ciò che ci capita perché c’è sempre qualcuno che sta peggio di noi; insomma cercare la gioia nelle piccole cose».

Ci sono stati dei momenti più duri in cui ha pensato “ora basta”?
«La tracheostomia è un incubo. Il risveglio, la degenza, ma soprattutto la mia voce sparita per quasi due anni; l’unico vero momento in cui forse vorresti mollare. Poi l’ho passato, con l’aiuto di tanti amici, di mia sorella Romina, il compagno Dino; oggi parlo abbastanza bene».

Com’è la sua giornata tipo?
«Mi alzo verso le 8 del mattino e bevo un caffè, poi aspetto le Oss per la solita routine riguardante l’igiene, e si è già fatta ora di pranzo. Poi nel pomeriggio inizia il momento dedicato allo svago: fino a circa le 19 sto davanti al computer; vado sul mio profilo Facebook e chatto con gli amici - cercatemi e aggiungetemi -, ascolto molta musica rock, guardo molti cinema e leggo romanzi. E poi rileggo il libro di poesie che ho scritto tanti anni fa».

Oggi il coronavirus costringe tutti a stare in casa, e molti non lo sopportano, perché questa restrizione non la considerano vita; cosa vorrebbe dirgli?
«Nella mia vita io devo stare a casa per periodi ben più lunghi, eppure per me è bellissima. Noi disabili lo sappiamo bene, forse per altri è difficile comprenderlo. Oggi più che mai è un dovere per la salute di tutti, ma anche un segno di rispetto per noi; io non posso decidere se trasgredire queste norme».

Come possiamo aiutare chi è affetto da queste patologie?
«Trattarci non come un peso o con pietismo, aiutarci a essere come gli altri, avere le stesse possibilità».

Esprima un desiderio per il futuro, un sogno.
«Ce ne sono tanti. Inizialmente era tornare a camminare, forse adesso invece è farmi una casa e, perché no, sposarmi. Poi mi sarebbe sempre piaciuto conoscere Valentino Rossi».

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