Lorenza Ghinelli: «Le storie oscure mi appartengono»

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RIMINI. “Tracce dal silenzio” è la nuova, riuscita, prova letteraria di Lorenza Ghinelli, scrittrice capace di affermarsi nel panorama editoriale grazie all’intensità dei soggetti e alla potenza della parola, lucidissima e al tempo stesso dotata di grande suggestività.
Il libro appena uscito – ha “debuttato” venerdì scorso al Bar Lento di Rimini – fa parte della nuova collana di Marsilio “Lucciole”, racconti misteriosi tesi a mescolare avventura e suspense, commedia e sentimenti; gialli leggeri e al tempo stesso in grado di illuminare gli angoli più bui dell’animo umano.
È la storia della piccola Nina – diventata sorda in seguito a un incidente stradale («E niente era tornato normale e mai più lo sarebbe stato») – la quale, suo malgrado, si ritrova coinvolta nel mistero di alcune morti sospette, incredibilmente “annunciate” dalle note allegre e inquietanti di una musica che «ricordava Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato» e «sapeva di talco, crema alla rosa e dopobarba», una sinfonia che la ragazzina ode di notte, nonostante il suo impianto cocleare sia spento.
Ne parliamo con l’autrice, riminese classe 1981, che oltre a essere scrittrice è anche soggettista, sceneggiatrice televisiva e docente della Scuola Holden.
Ghinelli, in questo libro mette in scena una nuova storia con protagonisti appartenenti al mondo dei giovanissimi, costretti a scendere in campo per affrontare prove come in una sorta di romanzo di formazione. Quale è stata l’ispirazione, la necessità, l’urgenza che – dopo essersi misurata con generi letterari diversi – l’ha spinta a ritornare al giallo?
«Credo che non si possa fuggire dalla propria natura e neppure dal proprio immaginario. Questi anni ho dovuto farci pace e ho scoperto che le storie oscure e perturbanti mi appartengono, risuonano profondamente con me, mi permettono di contattare gli angoli remoti che altrimenti percepirei soltanto come infestati».

Nella sordità della protagonista emerge una traccia autobiografica («Devo un ringraziamento speciale al mio orecchio destro, sordo»), quella sordità che separa Nina dal mondo e allo stesso tempo sa connetterla con una dimensione “altra”, fatta di percezioni, sensazioni, visioni celate ai più. Cosa rappresenta a livello simbolico quella forzata mancanza di suoni?
«Amo raccontare i deficit, perché sono certa che in loro risieda anche un potere rivoluzionario che spesso non viene visto né compreso. Molti si fermano a ciò che vedono o credono di vedere. Ma non colgono l’insieme, le possibili risorse, le differenti visioni del mondo che ispirano, e che possono arricchire la collettività mettendola in discussione. Per quattro anni ho studiato la lingua italiana dei segni perché volevo fare pace con la mia parte sorda, in cui sono certa che sussurrino le storie. Ora so che quella parte ha pieno diritto di esistere, le devo tanto».
Nina, i genitori, l’anziana Rebecca – che porta sulle spalle un passato doloroso («Non poté evitarlo, erano trascorsi settantatré anni eppure lo sapeva: il tempo dei ricordi è sempre il presente») – il fratello Alfredo, asserragliato nel vortice di una crescita problematica, le giovani Rasha e Nur: gli attori di questa storia sono numerosi e ricchi di sfaccettature, perfettamente sostenuti da una scrittura che sa mettersi a completo servizio della storia, diretta e scevra di orpelli e insieme capace di seguire gli angoli più nascosti dell’anima. A quale personaggio è più legata?
«Quando si scrive è come se la personalità si spartisse in vari personaggi. Per questo li sento tutti estremamente vicini. Certo, verso Nina, Rebecca e Rasha provo un attaccamento speciale».

Il fluire del tempo, la necessità di mettersi alla prova, la tensione alla resilienza, il disagio, la forza di scoprire sé stessi e di abbandonare le maschere. Sono tantissimi i temi che ricorrono nelle sue storie, fatte di lacrime e sangue, ma anche ricche di speranza. Quali sono in quest’ultimo lavoro le tematiche che premono maggiormente per uscire e incarnarsi sulla pagina scritta?
«Senz’altro il peso dei tabù, dei segreti con cui alla lunga è impossibile vivere, perché marciscono dentro. La violenza di genere è un tema ricorrente. Lo sono anche quello della resilienza, del riscatto, dell’amicizia. In questo libro parlo anche di tradimenti. Che altro non sono che svelamenti improvvisi e per questo traumatici. Ma sono sempre stati lì, in quella zona d’ombra che preferiamo ignorare».

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