Lord Byron, il poeta innamorato dei romagnoli

Cultura

RAVENNA. Lord Byron a Ravenna diviso tra l’amore per Teresa Guiccioli e gli accesi spasmi della sua temperie di romantico rivoluzionario, sempre in stato d’allerta in conseguenza di un evento che, secondo lui, potrebbe essere la miccia che accende il fuoco della rivolta. Ma le sue speranze vengono deluse. Alla fine inizierà a sentire nostalgia della Grecia, tant’è che vi farà ritorno, insieme all’amico ravennate Pietro Gamba, per aiutare la popolazione locale nella lotta contro l’Impero Ottomano. Morirà (si presume di febbre reumatica) a Missolungi, una piccola città della penisola ellenica.
Nuova importante uscita della collana Acsè curata dall’omonima associazione faentina: Lord Byron e la carboneria romagnola, a cura di Nicola Ragazzini e Luca Rossi, White Line Edizioni, Faenza, 2020.
Ragazzini, qual è la ricerca condotta? E come emerge la personalità di Lord Byron dalle pagine di questo diario ravennate?
«Il testo da me tradotto, il più fedelmente possibile, è quello riportato nella biografia di Thomas Moore (Letters and journals of Lord Byron, 1830). Infatti i diari di Byron non erano destinati alla pubblicazione e il testo non è integrale essendo stato sottoposto a censure da Moore stesso. Per le note, ho utilizzato come riferimento l’analisi del testo compiuta dal professor Peter Cochran, grande studioso venuto a mancare nel 2015. Il poeta inglese, inizialmente convinto della reale possibilità di una rivolta carbonara che abbia successo, inizia lentamente a prendere consapevolezza che nulla di questo accadrà».
Un Byron che si può definire anche un po’ “romagnolo”? Come si evidenziava il suo rapporto con la città e i suoi abitanti? E come si spiega il suo profondo interesse per i numerosi fatti di sangue che avvenivano all’epoca in Romagna?
«Un Byron romagnolo? Non saprei. Bisognerebbe definire il concetto di “romagnolo”: se guardiamo a com’era il romagnolo dell’epoca, direi proprio di no. La popolazione era concentrata più sulla sopravvivenza che sulla lotta per un bene superiore. Byron è incuriosito dal popolo romagnolo: vi vede uno spirito combattivo, sanguigno, una tempra eroica che in tempi difficili potrebbe emergere per fare grandi cose. Il suo interesse per i fatti di sangue dell’epoca sono il frutto di questa curiosità: mentre infatti il popolo gli sembra apatico, i fatti di sangue di cui viene a conoscenza lo convincono che questa apatia è solo apparente, e cela una fiamma viva».
Rossi, quale incidenza ebbe il malcontento del popolo nei confronti dell’autorità sullo sviluppo della Carboneria in Romagna?
«All’indomani della caduta di Napoleone, in diversi ambienti borghesi romagnoli rimanevano vivi i principi democratici introdotti durante il dominio napoleonico. Molte società segrete nacquero adottando in parte questi principi. Quella in cui si svolgono i fatti raccontati nei diari di Lord Byron sulla sua permanenza a Ravenna è un’Italia divisa, turbolenta, e tormentata da continui conflitti interni. Scontri tra piccole nazioni vicine di casa, invasioni da parte di potenze straniere, autentici “regni del terrore” (nelle parole di Peter Cochran) che venivano instaurati dagli stranieri e che rendevano la popolazione sempre più insofferente alle circostanze. Un’Italia in cui, come reazione a questo continuo conflitto, nasce la Carboneria, composta per lo più da esponenti delle classi medio-alte, che si proponeva non solo di riportare la pace e l’ordine spodestando i piccoli tiranni che dominavano la Penisola, ma anche di riportare alla popolazione un ordine “morale” abolendo l’alcolismo, il gioco d’azzardo e la prostituzione».
In quali circostanze e con quali aspettative si sviluppò il rapporto di Lord Byron con la Carboneria ravennate?
«Byron entrò in contatto con la Carboneria ravennate grazie all’amicizia con il conte Ruggero Gamba, nonché dopo l’incontro con una società segreta fuori città. Questo sodalizio pose le basi di una possibile futura rivoluzione per l’indipendenza dell’Italia intera. Il poeta inglese, inizialmente convinto della reale possibilità di una rivolta carbonara che abbia successo, inizia lentamente a prendere consapevolezza che nulla di questo accadrà. Byron vede nel popolo romagnolo una fibra eroica, un eroismo e una passione violenta che possono uscire allo scoperto nelle difficoltà, ma si trova suo malgrado a constatare come questa passione violenta non si manifesti per il perseguimento di alti ideali di libertà, ma solo in piccole scaramucce di interesse prettamente locale. È evidente, ad esempio, quando descrive una rissa tra famiglie rivali avvenuta a Russi, scatenata dal fatto che i giovani delle due fazioni avessero abbandonato i dissensi per ballare insieme (evento che Byron, molto romanticamente, paragona alla faida tra Capuleti e Montecchi in “Romeo e Giulietta”)».

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