Longiano, don Giorgio difese gli operai e fu espulso dalla Colombia

Longiano
  • 30 ottobre 2023

«Per la difesa degli operai sfruttati, don Giorgio Bissoni venne imprigionato e trattato come un sobillatore». Tra il Venezuela e la Romagna si moltiplicano le prese di posizione e le testimonianze pro canonizzazione del missionario vicino ai poveri. Lo sottolinea anche Marco Marchi, scrittore longianese e imprenditore del gelato, che in quel periodo ha vissuto 7 anni in Colombia per lavoro.

Il 17 settembre scorso all’età di 83 anni è morto per incidente il missionario longianese in Venezuela don Giorgio Bissoni. “Don Jorge” stava andando a celebrare un funerale quando è stato colto forse da un malore in auto. Nato a Longiano il 12 maggio 1940, è stato missionario per oltre mezzo secolo, prima in Colombia e poi in Venezuela. Dopo il funerale alcuni parrocchiani venezuelani hanno lanciato un appello per una raccolta firme per avviare la causa della canonizzazione.

«Sono emigrato in Colombia a 23 anni, quando don Giorgio ne aveva 27 - racconta Marchi - Sono partito con altri tre italiani il 19 dicembre 1967 sul piroscafo Rossini da Genova per arrivare a Cartagena il 4 gennaio 1968. Poi una notte a Bogotà e quindi a Cali dove mi aspettava un corso, l’ambientamento e il lavoro come chimico alimentare. Don Giorgio Bissoni era partito un paio di anni prima e aveva la missione a La Paila, a 150 chilometri dalla fabbrica dove lavoravo. In Colombia don Giorgio ha avuto come compagnia l’altro missionario cesenate don Crescenzio Moretti e prestava servizio religioso nell’azienda “La Colombina”, la più grande fabbrica di caramelle della Colombia e adiacente un grande zuccherificio. Saputo del mio arrivo mi venne a trovare e mi invitò a passare una mezza giornata da lui. Con 2 amici arrivammo alla missione, grande e ben tenuta. Mi spiegò che il suo compito era di educatore e predicatore in mezzo agli operai. Nel 1970 per la prima volta lo vidi con la sua lunga barba che poi ha sempre tenuto».

«Gli operai vivevano in condizioni drammatiche - prosegue Marchi - Don Giorgio non poteva accettare il loro sfruttamento: nelle fabbriche erano pagati poco, soffrivano la fame e non avevano diritti. Una condizione che don Giorgio aveva segnalato ai padroni della fabbrica. Nel 1974 imparai dalla prima pagina del quotidiano Espacio che don Giorgio aveva svolto attività sindacale contro i padroni sfruttatori. Ne parlarono anche gli altri quotidiani colombiani El Tiempo e El Espectador, con enfasi. Si ipotizzava che fosse arrivato il nuovo Camillo Torres, il prete-guerrigliero nato a Bogotà nel 1929 e ucciso nel 1966. Anche don Bissoni era dipinto come un rivoluzionario. Io e la mia compagna ne fummo turbati e preoccupati, pensando che fosse riparato sulle montagne. Solo in seguito seppi che era stato messo in carcere per una settimana circa. Poi con l’intercessione del vescovo della diocesi colombiana, venne rimpatriato con foglio di via diretto. Senza poter prendere nulla dalla missione, né passaporto né soldi, venne accompagnato all’aeroporto e caricato sul primo aereo in partenza per l’Italia. Era inverno e don Giorgio aveva addosso solo i pantaloni e una camicia. All’arrivo a Milano dovette chiamare suo fratello che gli portasse almeno un cappotto. Anch’io, pur essendo un chimico e quindi ben pagato, nel 1974 decisi di ritornare in Italia. Negli anni a seguire incontrai don Giorgio quando tornava per qualche periodo a Longiano. Posso dire che operava anche a rischio della sua incolumità personale, perché era puro, onesto, sincero e non scendeva a compromessi con nessuno, tanto meno con i poteri forti che arricchivano sulla pelle degli operai».

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