L'olio che verrà, la raccolta delle olive in Romagna in anticipo

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Per la Romagna olivicola sarà una annata “di scarica”, dopo l’exploit produttivo del 2018. Fa parte della natura di questa pianta, ma c’entra anche il cambiamento climatico, che in fondo è anche alla base della proliferazione dell’ulivo negli ultimi lustri oltre l’area riminese e brisighellese, dalle quali non era mai sparito, ma che a poco a poco sta occupando spazi che non erano più suoi da secoli, specie in direzione Emilia. L’Arpo, Associazione regionale tra i produttori olivicoli dell’Emilia Romagna, oggi conta 650 soci, fra cui anche consorzi che ne assommano molti a loro volta. «Possiamo parlare oggi di 3.500 ettari di uliveto in Emilia Romagna, per oltre un milione di piante –spiega Sabrina Paolizzi, responsabile tecnico e memoria storica dell’associazione stessa –. Di questi, il 54% è in territorio di Rimini, un territorio per il quale si sta mettendo a punto un rilancio della valorizzazione del prodotto che già gode della Dop Colline di Romagna. Il 30% degli ulivi cresce invece nel territorio di Forlì-Cesena, il 13% nel Ravennate, dove si trova anche la Dop Brisighella, e appena il 3% per ora nel Bolognese, dove però l’olivicoltura si sta sviluppando molto». Dove ci sono gli uliveti ci sono i frantoi e della trentina scarsa che può annoverare l’Emilia Romagna, 22 sono appunto nel Riminese, 9 a Forlì Cesena, 2 nel Brisighellese e uno soltanto in Emilia, ed è il Frantoio Imolese.

Varietà pregiate
Gli ulivi che oggi possono dirsi secolari non sono moltissimi, sparsi in Romagna e soprattutto nel Forlivese e Brisighellese, pregiata la produzione di varietà autoctone che danno oli dalle caratteristiche diverse e riconoscibili. La nostrana e la ghiacciola di Brisighella, che cresce bene anche negli altri territori specie nel Forlivese, dove resiste bene alle temperature più basse, anche se ormai questo non è più il problema principale. Poi Correggiolo nel Riminese, Rossina, Pendolino, Moraiolo, Leccino e Frantoio diffusi come nel resto del Mediterraneo.
Calo produttivo
Una produzione che, assicura l’Arpo, comunque viene venduta tutta nell’arco dell’anno e che quest’anno, proprio per il fatto che la raccolta sarà sensibilmente inferiore, fino anche al 60% in meno rispetto all’anno passato, anche i prezzi saliranno.
Il valore dell’olio
La questione del prezzo dell’olio è da sempre ardua, si sa. «Forse dipende dal fatto che anziché essere inteso come alimento, qual è, viene considerato dal consumatore come un semplice ingrediente, che si mischia al resto, e quindi ancora oggi non tutti sono disposti a spendere per l’olio anche solo quello che pagherebbero per una bottiglia di vino di media qualità –ragiona Sabrina Paolizzi –. I costi di produzione dell’olio sono molto alti, specie in annate come questa, perciò mi sento di dire che un buon olio medio, ottenuto da olive del territorio spremute meccanicamente a freddo, non può costare meno di 10/12 euro». Poi ci sono ovviamente differenze legate a Dop e territori, il colline di Romagna mediamente si attesta sui 16 euro al litro al consumatore, il Brisighello può superare anche i 20 euro.
Raccolta anticipata
«Il Riminese sconta ancora gli effetti delle gelate di fine inverno del 2018, tutti gli altri le piogge di maggio, quando gli ulivi erano in piena allegagione –spiega Paolizzi –. Inoltre questa annata è stata contrassegnata in generale, anche se non tanto nelle nostre zone perché la nostrana regge bene agli attacchi, da una cospicua presenza della mosca dell’ulivo, che però chi ha fatto i trattamenti necessari, ha potuto controllare, ma anche da una abbondante cascola, ovvero caduta spontanea delle olive. Quindi per evitare di perdere più possibile frutto, e visto anche che il cambiamento climatico ha effettivamente anticipato la maturazione delle olive, quest’anno si è chiesto di anticipare la raccolta che normalmente parte il 20 ottobre fin dal 10 dello stesso mese. Una richiesta di variazione temporanea dei disciplinari, che però diventerà a breve definitiva, proprio per i cambiamento climatico».


Brisighella docet
«Certo non siamo ai livelli di altre zone produttive come il ago di Garda o la Liguria che hanno chiesto lo stato di calamità naturale per l’azzeramento o quasi della produzione, però quest’anno avremo poco olio, sia pure di buona qualità –spiega il presidente del Consorzio agrario brisighellese che lavora le olive per trarne il pregiato e noto olio, Sergio Spada –. L’anno scorso i quintali di olio furono 12mila, quest’anno saranno 5.000. La siccità non è un problema, ma la temperatura, specie in fase di raccolta, come sta accadendo ora, sì. Per questo stiamo dicendo ai produttori di olive di non tenere i frutti nei cassoni oltre due giorni, ma di portarli subito, affinché non si riscaldino troppo e non si compromettano le proprietà organolettiche dell’olio. Noi l’anno scorso abbiamo interamente rinnovato il frantoio, beneficiando di un fondo Psr investendo la cifra cospicua di 700mila euro, e oggi siamo in grado di condizionare la temperatura della pasta di oliva che non deve oltrepassare i 27 gradi con la macinatura. Se questo accade il rischio è che l’olio acquisisca un difetto tipico, il “riscaldo”, in quel caso non potrebbe nemmeno essere etichettato come extra vergine». Il Cab di Brisighella ha molto investito sulla tecnologia del frantoio ed è aumentata anche la potenza produttiva che quest’anno consentirà quanto meno di velocizzare la produzione. «Prima di cambiare frantoio lavoravamo al massimo 15 quintali di olive all’ora, ora siamo passati a 25, con punte di 600 quintali di olive in un giorno –spiega ancora Sergio Spada–. Il nuovo impianto è inoltre dotato di una separatrice che divide la sansa e l’acqua dai noccioli. Questi ultimi vengono recuperati per diventare pellet per caldaie, la sansa semiliquida, quindi di scarto, viene conferita al biodigestore della Caviro per produrre elettricità, quindi possiamo dire che ormai dalla lavorazione delle olive di Brisighella nulla va buttato».

La riscossa dell'Emilia dell'olio parte dalle colline imolesi.

La riscossa dell’olivicoltura in Emilia parte dal confine: da Imola. Per il momento è proprio qui l’unico frantoio che serve chi produce olive a ovest del Rio Sanguinario. Non che l’ulivo non fosse presente anche oltre la Romagna e poi verso l’Emilia, ma le sue tracce si perdono intorno al Settecento. Da una quindicina di anni, dopo i primi impianti ad opera della famiglia Rossi che poi ha avviato il frantoio Imolese, è stata una crescita costante e oggi esiste una rete di olivicoltori dei Colli Imolesi e Bolognesi che si sta dando da fare per arrivare ad ottenere almeno un riconoscimento di Indicazione geografica protetta. Uno di questi è Giovanni Bettini che nel Podere Pratale, sul crinale che separa la Valle del Santerno dalla valle del Senio, e quindi al limitare del territorio della Dop Brisighella e del Parco della Vena del Gesso, tra Borgo Tossignano e Fontanelice, ha iniziato con le prime 600 piante nel 2003, dopo aver meditato a lungo ed essersi altrettanto trattenuto, pensando a chi gli sconsigliava di impiantare ulivi rivolti a nord. Poi anche in questi caso il cambiamento climatico ci ha messo lo zampino, alla fine quella zona si è rivelata ottimale e nel 2006 Bettini ha piantato altre 200 piante, ancora una volta di Nostrana di Brisighella. Nel 2017 ne ha aggiunte altre 700 delle varietà brisighellesi, nello stesso anno ha ottenuto anche tre foglie nella guida del Gambero Rosso, un vanto per l’azienda. «Quest’anno ne ho impiantate altre 600 e ho cambiato varietà, avremo in produzione fra almeno quattro anni il Correggiolo Pennita e il Correggiolo Villa Verrucchio», dice, mentre con la sua squadra ha già avviato da qualche giorno la raccolta, ovviamente a mano, aiutata solo da abbacchiatori portati a spalla dai raccoglitori. Anche qui la produzione sarà inferiore, ma meno che in altre zone della Romagna. Un 30% in meno circa comunque è garantito, «a maggio la pioggia ha danneggiato la fioritura». L’olio del Podere Pratale si trova in esclusiva nelle macellerie del contadino Clai, di cui Bettini è presidente: «Ha sostituito l’olio che prendevamo da una coop sociale di Castrocaro quando purtroppo chiuse. Lo scopo è essere coerenti con produzioni del territorio».
La rete di olivicoltori imolesi comprende, fra gli altri, il Podere Pratale stesso, il Frantoio Imolese, la Tenuta Palazzo di Varignana che sulle colline di Castel San Pietro ha impiantato oggi diverse migliaia di piante di ulivo, l’azienda agricola Bonazza di Croara nel Bolognese. Un’occasione per conoscere tutte le aziende sarà all’interno della programmazione del Baccanale dedicato quest’anno a “I sapori dei ricordi”, sabato 16 e domenica 17 novembre (dalle 9 alle 19) sotto la Galleria del Centro Cittadino con la nona edizione di “Olimola”, la mostra mercato dell’olio extravergine d’oliva prodotto in Emilia Romagna, con un focus proprio sulla filiera olivicola del territorio imolese. Sono previste presentazioni e degustazioni guidate in collaborazione con Associazione Regionale Produttori Olivicoli, Istituto Tecnico Agrario Chimico Scarabelli-Ghini, società agricola Rossi Frantoio Imolese. Alle 10 del mattino show cooking, degustazioni, lezioni tematiche sulle ricette tradizionali a cura degli alunni del Istituto Alberghiero Pellegrino Artusi di Riolo Terme. Possono partecipare le aziende agricole del territorio regionale produttrici di olio extra vergine d’oliva con prodotto etichettato.

Ulivi secolari, l’olio “presidio” e fuori dal coro di Tenuta Pennita

In Emilia Romagna è l’unico produttore che può apporre il “bollino” di Presidio Slow Food al proprio olio monocultivar di Nostrana di Brisighella, la selezione Alina che è il nome di sua moglie, proprietaria di 1800 piante centenarie di oliva nostrana a Brisighella. Solo quel “bollino” incolla sulle sue bottiglie, niente Dop, niente altro, alle certificazioni si dichiara non interessato, anzi più che altro è critico. Gianluca Tumidei titolare della Tenuta Pennita di Castrocaro cammina fra i suoi ulivi con la consapevolezza di aver dato un’impronta a questo territorio, ma non si è fermato sulla soglia di casa. Raccoglie a Brisighella e frange a Castrocaro, dove Gianluca Tumidei produce olio e vino da una ventina d’anni scarsa. «Anche qui ci sono sempre stati gli ulivi, quando nel 2002 il Cnr venne a mappare le piante secolari in Romagna ne trovò 33, sei le varietà autoctone che abbiamo reimpiantato qui, a fianco di quelle che erano già presenti. Come il Correggiolo Pennita (la foto in prima pagina di questo numero “Cibo” ritrae Tumidei davanti alla capostipite centenaria di questa varietà), che è la più profumata fra i tre cloni romagnoli, c’è anche quello di Montegridolfo e quello di Villa Verucchio» specifica Tumidei. Poi Cortigiana, Nostrana clone Casalino e Conversello, Ghiacciola clone Casalinetto e «la più interessante, il Quarantoleto di cui trovai una pianta a Dovadola, assomiglia molto alla Ghiacciola». Del blend degli oli estratti dalle piante secolari, e non, di Tenuta Pennita, varietà Correggiolo, Nostrana e Ghiacciola, si ottiene l’olio Poggio al Monte (anche in versione con la spremitura del frutto denocciolato), dalla monocultival Ghiacciola il Valdoleto. C’è poi anche una mini produzione che cambia ogni anno. Si chiama “Green dream” e a seconda dell’annata Tumidei utilizza le olive pensa possano dare il meglio, «l’anno scorso ho utilizzato la varietà orfana, quest’anno vedremo». Gianluca è un produttore che nel suo uliveto sembra davvero divertirsi, anche se i numeri nel tempo sono cresciuti e oggi Tenuta Pennita ha in gestione 15mila piante di olivo, inoltre frange per conto terzi e in questi giorni l’andirivieni al frantoio, a ciclo continuo che permette la molitura delle olive entro quattro ore dalla raccolta, è ininterrotto. «C’è chi si compra una barca, io mi comprai un frantoio, che è tutto d’acciaio e non fa nemmeno la ruggine. Lo comprai nel 2002, avevo 23 piante di ulivo, mi davano del matto – se la ride Tumidei – adesso gli uliveti spuntano come funghi e i frantoi anche. Una cosa l’ho fatta: ho dato valore all’olio di queste colline». Anche alla Tenuta Pennita il raccolto si annuncia molto più scarso dell’anno passato. «Ma i confronti non si possono fare col 2018 che è stato un anno eccezionale. Noi qui ad esempio facemmo 320 quintali di olio, quest’anno arriveremo a 100 quintali e con la mosca non abbiamo avuto grossi problemi, come tutti quelli che sono stati attenti». Ma Gianluca Tumidei lo dice chiaramente: «Si deve lavorare per fare un buon prodotto, con l’olio è difficile pensare solo al reddito». L.G.

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