Lo storico Pasini: “L’anfiteatro riminese resti coperto dal Ceis”

Annamaria Bernucci lo definisce «una sorta di piccolo vangelo per chi si accosta al patrimonio storico artistico riminese». Il riferimento è al volume Vicende del patrimonio artistico riminese di Pier Giorgio Pasini, circa 150 pagine di excursus intorno ai tesori artistici della città di Rimini (dai più ai meno noti), raccontati seguendo il filo di vicissitudini (requisizioni napoleoniche, danni del terremoto del 1916, prime azioni di salvaguardia e valorizzazione) accadute nell’arco di tempo che va dall’inizio dell’Ottocento ai decenni successivi al dopoguerra.

Completa il volume un’appendice, che racconta della raccolta fondi promossa dall’ispettore onorario Alessandro Tosi nel 1921 per il restauro degli affreschi trecenteschi ritrovati in Sant’Agostino. Una storia esemplare di coinvolgimento civico per la salvaguardia di un bene comune. «Quello è il momento di maggiore coinvolgimento della città nei confronti della propria arte» sottolinea Pasini.

Edito da Panozzo nel 2010 nella collana “Microstorie”, il contenuto del libro già tredici anni fa riproponeva un saggio del 1978. L’occasione per riscoprirne il contenuto è data dall’incontro di oggi (ore 17) alla Cineteca comunale dove Pasini sarà ospite del ciclo “Libri da queste parti”, in dialogo con Bernucci, storica dell’arte dei musei comunali di Rimini. L’incontro completa la trilogia del ciclo ideato dall’editore Panozzo con il titolo “Un bel tempo andato? Vivere a Rimini nel dopoguerra”, pensato come contributo alla conoscenza della storia riminese del secondo Novecento.

«Questo testo del professor Pasini – sottolinea ancora Bernucci – è ancora oggi di grande attualità. Contiene racconti sofisticatissimi, frutto di canali diversificati di indagine».

Nel predisporlo, l’autore ha avuto accesso, in epoca non ancora digitale, a una infinità di informazioni, consultando testi scritti e preziose fonti di archivio. Guai a chiedere a Pasini quale sia, oggi, maggiormente da scoprire e valorizzare tra i tesori storico-artistici riminesi. «Tutti» è la risposta.

Premessa che non lo esime dal deplorare, in particolare, la non sufficiente valorizzazione del Tempio Malatestiano: «È la prima architettura del Rinascimento. Il Rinascimento comincia a Firenze ma provate a cercare a Firenze la facciata di una chiesa rinascimentale. Non c’è. La nostra è la prima facciata di una chiesa rinascimentale al mondo. Altre cose poi ne fanno un primato: ad esempio il tipo di decorazione a opera di Agostino di Duccio. Cose che vengono, diciamo pure, dimenticate».

Quanto all’argomento ancora oggi d’attualità, l’anfiteatro romano, «più le cose restano sottoterra e meglio si conservano – osserva lo storico dell’arte –. L’anfiteatro è l’elemento importante della città romana. Se viene fuori arricchiamo la città di un elemento importante. Però non lo ritengo così urgente. Sopra ci è capitato in un momento disperato l’Asilo svizzero, diventato anch’esso una testimonianza importante. Se si può spostare un po’ si può anche scavare per l’anfiteatro. Non vedo però come un dramma che la situazione dell’anfiteatro resti così com’è, ma neanche dell’Asilo svizzero che si possa spostare».

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