Lo storico Focardi "Nel cantiere della memoria"

Un paese che non ha mai fatto veramente i conti con le pagine buie del suo passato: Filippo Focardi, docente di Storia contemporanea all’Università di Padova e direttore scientifico dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, ha fatto il punto su questo nel suo recente “Nel cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, foibe”, e sarà protagonista oggi dalle ore 17.30 del secondo appuntamento del ciclo “Zone grigie/Cattive memorie” promosso dal Comune di Rimini. Lo studioso tratterà di “La mancata Norimberga italiana. Bravi italiani e crimini fascisti”, presentato da Laura Fontana, responsabile del progetto di Educazione alla memoria del Comune, e da Stefano Pivato dell’Istituto per la storia della Resistenza di Rimini, ex rettore dell’Università di Urbino. L’incontro sarà in streaming su Skype (youtu.be/n9yvQcyDX9E), sul canale Youtube dell’Urp del Comune di Rimini, sul sito e sulla pagina Facebook del Progetto Educazione alla memoria.

«Sulla mancata resa dei conti rispetto al fascismo e alle sue guerre – commenta Focardi – Emilio Gentile agli inizi degli anni Duemila ha parlato della “defascistizzazione” del fascismo, cioè della apparente “dimenticanza” da parte della memoria pubblica italiana dei suoi aspetti criminali e repressivi, e del suo carattere totalitario. Nel mio volume sottolineo quindi come l’autoraffigurazione del fascismo in relazione con il nazismo ridimensioni, paragonandole con quelle dei tedeschi, responsabilità concrete e oggettive».

Qualche esempio?

«La guerra d’aggressione che l’Italia combatte già dal 1935 in Etiopia, o la partecipazione alla guerra civile spagnola: su Barcellona, nel marzo 1938, è proprio l’Aviazione legionaria italiana a fare un bombardamento sui civili che non è raccontato da nessuna “Guernica”, ma che causa altrettante distruzioni. Penso anche all’invasione dell’Albania nel ’39: del resto, quando il nostro paese entra nel conflitto mondiale, nel giugno 1940, lo fa per realizzare “un nuovo ordine mediterraneo”, per citare Davide Rodogno, e con un esercito non all’altezza, ma con l’aiuto della Germania, fra il 1941 e il 1943 i Balcani diventano terra di conquista».

Aggressori e imperialisti, quindi.

«Già in Africa prima, poi nei Balcani, gli italiani si macchiano di crimini di guerra gravissimi, e aprono oltre 50 campi di concentramento: a Raab, a Larissa, a Gonars… tutte cose che la memoria pubblica nazionale ignora».

Non si tratta però di campi di sterminio.

«Questo no: sta di fatto però che circa il 10% della popolazione slovena viene deportata, che nei campi passano oltre 110.000 croati, sloveni, montenegrini, che ci sono stragi, rastrellamenti, rappresaglie rimasti fuori dal radar della nostra memoria. Ma non si può negare che italiani e tedeschi abbiano comportamenti diversi, e che nei Balcani circa 2.000 ebrei vengano salvati proprio dai nostri uomini. Questo però contribuisce a far… spazzare sotto il tappeto l’aspetto criminale del fascismo, e l’assenza della dimensione giuridica».

Cioè la celebrazione di processi.

«Il governo italiano ebbe buon gioco nel proteggere i propri criminali di guerra, di cui la Commissione delle Nazioni Unite aveva segnalato un centinaio di nomi. Ma i governi di unità nazionale per evitare all’Italia una pace “punitiva”, si impegnarono a marcare una differenza rispetto all’Italia fascista, e una commissione d’inchiesta italiana individuò una quarantina di colpevoli (sì, i numeri si erano “ridotti” rispetto alla lista delle Nazioni Unite…): da Mario Roatta a Mario Robotti, che lo aveva sostituto al comando della 2ª Armata e della forza d’occupazione italiana in Jugoslavia. La magistratura militare italiana avrebbe dovuto processarli, ma fu evocato l’articolo 165 del Codice militare di guerra che stabiliva la punibilità dei crimini a patto che ci fosse reciprocità, quindi che la Jugoslavia, il nostro principale accusatore, processasse a sua volta i colpevoli delle foibe. Ma erano gli anni della Guerra fredda, dello strappo di Tito dall’Unione Sovietica, e nel 1951 “a norma di legge” visto che questa reciprocità era infattibile, tutti i processi furono bloccati».

Ecco la “Norimberga mancata”.

«Sì: dopo la trasmissione nel 2008 del documentario “La guerra sporca di Mussolini” sull’eccidio di Domeniko, in Tessaglia, i procuratori Sergio Dini e poi Marco De Paolis provarono a far partire nuove inchieste, mentre il tribunale di Barcellona ne aprì una sul bombardamento del 1938, ma si era ormai nel 2015-2016: i famosi “quaranta” erano morti, e tutto finì lì».

Non un gran risultato.

«No, perché in assenza di colpevoli riconosciuti una parte non trascurabile della società si è consolidata nel mito assolutorio e gratificante del “bravo italiano”, e può permanere una visione bonaria ed edulcorata del fascismo, autoritario sì, ma non spregevole, e a cui anzi vengono riconosciuti meriti. Ma il “welfare dictatorship” è tipico dei regimi totalitari: pensiamo a Stalin, capace di trasformare un paese arretratissimo in una potenza industriale a livello planetario! Così il “lato positivo” del fascismo continua a non venire messo in discussione, proprio come il suo aspetto criminale: e questo sì, apre la strada a pericolose e interessate “revisioni” della nostra storia».

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