Lo chef di Abocar fa il "ritratto" ai pesci dell'Adriatico

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RIMINI. In fondo basta poco. Può darsi, ma di solito questo si dice solo dopo che qualcun altro ci ha pensato, e lo ha fatto. A Mariano Guardianelli, chef di origini argentine, trapiantato per amore e poi per professione a Rimini, dove con la moglie Camilla Corbelli guida lo stellato Abocar-Due cucine di via Carlo Farini, l’idea è venuta guardando Instagram, ci ha pensato su un po’ e ha trasformato una suggestione in un bel progetto.
Arte giapponese
«Un giorno ho visto un video che mi ha colpito. Una persona spennellava un grande pesce di inchiostro di seppia e, dopo averlo coperto con un foglio di carta di riso, premendo con le mani ne prendeva l’impronta – racconta lo chef Mariano Guardianelli –. Io non conoscevo quella tecnica, allora sono andato in cucina dal mio chef giapponese Toshi Hiro e gli ho chiesto se ne sapeva qualcosa. È stato lui a spiegarmi che questa tecnica si chiama Gyotaku. Mi ha detto che anche lui, quando usciva in mare col padre o il nonno da piccolo, in occasione di una buona pesca era usanza fare proprio questo: prendere l’impronta del pesce e conservarla a ricordo. L’idea mi è piaciuta tantissimo, non solo per il bell’effetto grafico che ne deriva, ma proprio anche per l’idea di voler dare valore a una pesca fortunata, l’ho trovato poetico. E allora mi sono messo all’opera». Con una scorta di carta di riso e inchiostro di seppia Mariano, fra un servizio e l’altro del ristorante, si è messo a “dipingere” così i ritratti dei pesci che transitavano dalla sua cucina prima di finire in menù.


In realtà, in origine, questa tecnica non era usata da artisti o pescatori sportivi per ragioni estetiche o affettive, ma era una vera e propria forma di pubblicità: i pescatori giapponesi utilizzavano il Gyotaku per immortalare e far notare le loro catture migliori nei mercati dove portavano il frutto del loro lavoro. In fondo lo chef ha riportato il Gyotaku alla sua antica origine, perché dopo aver realizzato 30 “ritratti” di altrettanti pesci ha deciso di contattare la direzione del Mercato coperto di Rimini e proporre di realizzare con quel suo lavoro altrettanti pannelli da appendere al soffitto della grande pescheria del mercato il giorno che, finito il fermo pesca, il pesce fresco sarebbe tornato dalle barche sui banchi. E questo è successo martedì mattina scorsa.

Hadria 37
Da una suggestione ha preso corpo un progetto vero e proprio. Ha anche un nome: Hadria 37, che da un lato rende omaggio all’etimologia di Adriatico e insieme indica il codice FAO 37, che identifica il pescato del nostro mare. «Chi vende il pesce è obbligato a indicare i codici di provenienza del pescato, i consumatori dovrebbero saperli riconoscere per capire se quello che stanno acquistando arriva dal mare vicino o magari dall’Oceano dall’altra parte del mondo» spiega lo stesso chef. Hadria 37 è dunque diventato un progetto di valorizzazione dei prodotti ittici nostrani, che in una maniera piacevole e originale, almeno per la riviera romagnola, segnala la provenienza del pesce.


L’installazione
I “ritratti” fatti dallo chef sono stati ingranditi ed elaborati graficamente dal riminese Noroof Studio e stampati su pannelli di grandi dimensioni, quindi affissi al soffitto del mercato e ora campeggiano sulle teste di chi va a fare spesa al mercato, e non può evitare, o almeno ha uno strumento in più per farlo, di chiedersi cosa voglia dire quel 37. In stampa sono finiti i sardoncini, le triglie, il polpo, le cannocchie, il rombo, le sogliole, la seppia, i calamari, insomma il pesce appena pescato dell’Adriatico. «Lo scopo è proprio inviare un messaggio di consapevolezza sulla ricchezza del nostro mare e far vedere alle persone quante tipologie di pesce abbiamo e che non ci sono sempre solo quelle due o tre specie che in genere per abitudine o pigrizia vengono acquistate –dice lo chef –. Vorrei incentivare le persone a consumare di più il pesce nostrano a seguirne la stagionalità e a conoscerne le peculiarità». Questo poi sarebbe un primo step. «Cominciamo da qui, dal mercato dove io stesso vengo a comprare il pesce per la mia cucina, per poi magari portare questo progetto in altri mercati del pesce per promuovere lo stesso concetto di sostenibilità e consapevolezza, magari aggiungendo anche una descrizione e un racconto di ogni singolo pesce».
La cucina di pesce di Abocar
Guardianelli lo conferma, anche lui fa la spesa qui. Del resto il mercato del pesce di via Castelfidardo, che conta ben 50 banchi di pesce fresco, anche se solo 10 sono anche di pescatori veri e propri, è aperto tutti i giorni eccetto la domenica. «Io mi servo da uno dei banchi storici del mercato, quello di Roberto Gori. Non è un pescatore, il pesce lo vende, ma lo va a scegliere di persona dalle barche che arrivano in porto ogni giorno e conosce uno a uno i suoi pescatori –spiega Mariano Guardianelli –. Lui mi anticipa cosa è arrivato dal mare quotidianamente e mi annuncia quello che arriverà o sarà migliore di lì a una settimana o due. In pratica collabora al cambiamento del mio menù, perché io mi affido proprio a quello che trovo sul suo banco giorno per giorno e che lui stesso mi consiglia. Ad esempio adesso che il fermo pesca è finito, trovo molte sogliole, sardoncini, sarde, canocchie e mazzancolle ma un po’ piccole, seppioline, non molte però, gli sgombri che sono ottimi. Fra un po’ arriveranno i rombi e altri pesci, anzi fra una decina di giorni la qualità sarà ancora migliore, succede sempre così dopo un fermo pesca, anche se questo è stato leggermente più breve». Il perché lo dice lo stesso Roberto Gori dal suo bancone, mente agguanta canocchie a profusione per riempire le sporte delle signore riminesi che sembrano felici di essere ritornate a fare la spesa di pesce fresco, e anche sotto l’obiettivo di qualche turista che passa di qua per una foto ricordo. «Più il mare diventa freddo, più il pesce diventa buono», spiega Roberto. Perché la stagione conta, anche in mare.

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