L’ingombrante e fastidioso stabilimento balneare “Grande Italia”

Archivio

L’estate del 1924 arriva sull’onda di una polemica che coinvolge la totalità dei riccionesi e che riguarda uno stabilimento balneare eretto sulla spiaggia, nei pressi della riva, sopra una “piattaforma lignea”. La costruzione, proprio allo sbocco di viale Ceccarini – la zona più signorile della marina –, è provvista di ristorante, bar, caffè-concerto, sala da ballo e servizi per la balneazione: una simpatica opportunità turistica per alcuni, un ingombrante “baraccone” per altri. Detto questo, entriamo nella curiosa e sotto certi aspetti anche sorprendente vicenda.

Il 4 giugno i riccionesi assistono con stupore all’arrivo di una squadra di operai forestieri che, dopo aver scaricato un ingente quantitativo di legname «di fronte al viale centrale», inizia a piantare pali in parte sull’arenile e in parte sulla riva del mare. Il martellamento della impalcatura, sulla quale si borbotta che poggerà un «grandioso stabilimento ligneo», provoca scompiglio in tutta l’area circostante e mette in agitazione la città. La stagione, del resto, è già iniziata: non poche casette al mare hanno aperto le loro porte ai villeggianti; negli alberghi e nei ristoranti si notano i primi clienti; la spiaggia è pulita e ben levigata; tende e cabine sono al loro posto; qualche bagnante passeggia sulla battigia in santa pace assaporando la frescura delle brezze... La notizia di quel trambusto si propaga in un baleno e l’indomani un consistente gruppo di riccionesi, irritati per quanto sta avvenendo sul lido, dà vita ad una spontanea dimostrazione di protesta recandosi in Municipio a chiedere spiegazioni. Il sindaco Silvio Lombardini e la giunta comunale, completamente all’oscuro dello “scempio” in atto sul litorale, tentano di fermare i lavori: parlano con il titolare della palafitta, visionano i permessi di costruzione, cercano di conoscere il nome del responsabile che ha consentito l’erezione di uno stabilimento balneare in quell’area “nobile” della marina... Tutto inutile. Tutto regolare. L’autorizzazione giunge nientedimeno che dai ministeri delle Finanze e della Marina, dopo essere passata al vaglio degli uffici costieri di Ravenna. A questo punto l’indignazione aumenta e si inasprisce. Non si comprende perché al Comune è preclusa la gestione di casotti marini anche per fini sociali, mentre la stessa opportunità è consentita ai privati unicamente per il loro profitto. Due pesi e due misure. La cosa suscita profondo malumore. Sabato 7 giugno si riunisce il consiglio comunale; la questione della piattaforma è al primo punto dell’ordine del giorno. La discussione è veloce: tutti concordano nel pretendere la revoca del provvedimento. All’unanimità viene dato incarico al sindaco di spedire due telegrammi di disapprovazione ai due ministeri colpevoli della bruttura (cfr. La Riviera Romagnola, 5 e 12 giugno 1924).

La giunta comunale, intanto, firma un manifesto nel quale sottolinea la illegittimità della concessione e l’avidità degli speculatori che, mossi esclusivamente dal loro tornaconto, non si preoccupano di imbruttire il panorama della marina. La «sconcia piattaforma», infatti, oltre a deturpare «la splendida armonia del paesaggio», impedisce al visitatore appena sceso dalla stazione di godere, «come nel passato», del «sorriso del mare rigeneratore» (La Riviera Romagnola, 3 luglio 1924).

Non è solo il Municipio che reclama l’eliminazione di quell’orribile e inopportuno carrozzone; a questa “crociata” concorrono anche l’Associazione dei marinai e la Croce verde. Soprattutto Oddo Gramignani, presidente di quest’ultimo ente, indirizza ai ministeri competenti una lettera nella quale spiega come lo sconcertante manufatto metta addirittura in serio pericolo l’organizzazione della pubblica assistenza da lui diretta. «In questa spiaggia estesa per circa 4 chilometri – denuncia Gramignani – non può esistere un servizio di vigilanza a mezzo barche ed il servizio viene fatto dai 30 bagnini che hanno a loro disposizione salvagente e cassette di soccorso e che sorvegliano il loro settore pronti ad accorrere al minimo segnale di pericolo e mediante questa cooperazione lo scorso anno non abbiamo avuto a segnalare alcun morto, contrariamente a quanto avvenuto nelle spiagge viciniori. Ora questa piattaforma sopra elevata, rasente la spiaggia, rende assolutamente impossibile la sorveglianza». E non è tutto. Sotto il voluminoso tavolato, sostiene il presidente della Croce verde, si raccoglieranno detriti, escrementi e sporcizia varia «producendo miasmi con poca delizia della salute pubblica» (La Riviera Romagnola, 10 luglio 1924.).

Contro il famigerato baraccone La Riviera Romagnola dà corso per oltre un mese ad una campagna giornalistica tutta incentrata sul decoro del litorale. Niente da fare. Sul finire di giugno lo Stabilimento balneare “Grande Italia” – questo è il nome del mastodontico obbrobrio – apre alla clientela del lido i suoi legni.

Nonostante il clamore suscitato, il tanto chiacchierato complesso balneare non riscuote il favore del pubblico, tant’è che dopo quella prima stagione di veleni chiuderà bottega per fallimento e “l’indecente piattaforma” non verrà più riproposta alla visione dei bagnanti. Con piena soddisfazione di tutti. In proposito si mormora che i riccionesi, non essendo riusciti nel loro intento ad evitare la costruzione del “Grande Italia”, si siano coalizzati con altrettanto accanimento per boicottarne l’attività non solo ignorando le sue offerte turistico-commerciali, ma facendo di tutto per deviare la propria clientela estiva su altri luoghi pubblici, contribuendo in tal senso a determinarne l’insuccesso.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui