Licenziato 3 volte in 4 mesi: un caso ravennate "demolisce" la riforma Fornero

E’ incostituzionale il passaggio della riforma Fornero nel quale si stabilisce che in caso di licenziamento ingiusto, cioè basato su fatti insussistenti, il giudice sia tenuto ad accertare che appunto l’insussistenza sia “manifesta”. E’ questo il fulcro della sentenza della Corte Costituzionale che rende giustizia all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori “demolendo” parte della legge Fornero relativa ai casi di licenziamento per ragioni economiche, produttive e organizzative. Le motivazioni, vergate dalla vice presidente Silvana Sciarra, sono state depositate ieri, e rappresentano una sentenza storica, arrivata grazie a un impulso ravennate. A sollevare la questione di legittimità costituzionale della riforma che prende il nome dell’ex ministro del Lavoro, era stato il 7 febbraio dell’anno scorso il giudice Dario Bernardi. La sua ordinanza è stata ritenuta fondata dal palazzo della Consulta, che ora ha depositato le motivazioni.

Il caso: licenziato 3 volte

A fornire lo spunto per l’ordinanza del giudice Bernardi era stata una singolare causa di lavoro. La vicenda riguardava un dipendente assunto da 17 anni dalla Alfa Europe, azienda del polo chimico a nord della città. In appena quattro mesi era stato licenziato tre volte con tre diverse motivazioni, tutte ritenute insussistenti dal tribunale. La prima, per “giusta causa” riguardava un presunto furto, contestato nel 2018. Nemmeno un mese più tardi era arrivato anche il secondo licenziamento, questa volta per “giustificato motivo oggettivo”: l’azienda aveva sostenuto che per affrontare il periodo di crisi aveva dovuto eliminare il suo ruolo. Ragioni economiche, dunque. Infine, a febbraio, era arrivata l’ultima lettera, addebitandogli un presunto accesso abusivo a sistemi informatici aziendali. Ancora giusta causa. La battaglia legale – intrapresa dal lavoratore con l’avvocato Federica Moschini – aveva portato il giudice a stabilire come il dipendente fosse «tanto sgradito da essere licenziato», annullando i tre provvedimenti, disponendo l’immediato reintegro, il risarcimento dei danni, e pure accusando il datore di lavoro di falsa testimonianza.

Il ricorso e l’ordinanza

Su quella sentenza aveva presentato reclamo il legale della Alfa Europe. Da qui lo spunto che ha portato il magistrato ravennate a sollevare la questione alla Corte costituzionale, dubitando della legittimità della legge Fornero laddove stabilisce che in caso di licenziamento economico il giudice “possa” e non “debba” applicare la tutela prevista dall’articolo 18, cioè disporre il reintegro. In altre parole, ha rimarcato il magistrato, il margine di discrezione lasciato al giudice viola l’articolo 3 della Costituzione, laddove viene garantito lo stesso trattamento per situazioni analoghe, ossia i casi infondati di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo oggettivo. Aveva inoltre evidenziato come non ci fosse «alcun fondamento logico-giuridico» nell’assegnare al lavoratore il compito di dimostrare l’insussistenza manifesta, «con inversione dell’onere della prova». Il legislatore, in definitiva, avrebbe delineato un assetto «marcatamente ed ingiustificatamente sbilanciato in favore del datore di lavoro e, di contro, ingiustificatamente penalizzante per il lavoratore».

La sentenza

Ed ecco il nocciolo della motivazione. Innanzitutto, ravvisa la Corte Costituzionale, «il requisito della manifesta insussistenza è indeterminato». Si presta pertanto «a incertezze applicative, con conseguenti disparità di trattamento». Inoltre, prosegue, la «sussistenza di un fatto è nozione difficile da graduare». Ora la decisione presa dai giudici romani avrà effetto su tutti i processi che riguardano i lavoratori assunti fino al 6 marzo 2015, giorno precedente all’entrata in vigore del Jobs Act.

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