Libro: H.P. Lovercraft - L’opera completa

Questo volume, pubblicato dall’editore Fanucci, contiene l’opera completa di uno dei più grandi scrittori gotici americani, H.P. Lovercraft, autore di una serie di romanzi e racconti che sfuggono ad ogni tentativo di definizione, configurandosi come un inclassificabile amalgama di fantasy, horror e fantascienza.
Pur influenzato da autori come Edgar Allan Poe, Lord Dunsany e Ambrose Bierce, Lovercraft ha avuto infatti la capacità di affrancarsi dai suoi “eroi” letterari, arrivando a rivoluzionare la narrativa onirica, fantastica e dell’orrore. Lo ha fatto attraverso quella “letteratura del sogno e della crisi” che pone al centro della propria narrazione la dissoluzione del culto dell’uomo, visto ormai come il microscopico frammento di un cosmo indifferente e indecifrabile. Un uomo - le cui leggi ed emozioni non sembrano avere più alcun significato rispetto alla vastità dell’universo - sempre più in balia di forze in grado di irrompere nella sua quotidianità per causarne lo sconvolgimento e la frattura; preda di un orrore che va ben al di là della mera indagine psicologica, perché non più legato all’inconscio ma implicito e fuori campo.
Nei romanzi e nei racconti dello scrittore di Providence (anche se Carlo Pagetti, nell’introduzione, scrive che “derivante da Poe e dal suo gusto per lo hoax, la burla pseudoscientifica, è qualche variazione parodico-grottesca, che mette in discussione l’impianto orrifico dei racconti lovercraftiani, come a suggerire in essi, aldilà della totale artificiosità, la potenzialità dei risvolti comici”) abitano il macabro, l’inatteso, lo “orrore cosmico” e una visione del sublime inteso come terrore. Un mondo fantastico-orrifico privo di qualsiasi intento consolatorio, frutto amaro di quella lotta ingaggiata da Lovercraft, per tutta la vita, contro la Modernità.
Il riferimento, però, ad un mondo fantastico e orrifico non deve trarre in inganno: i racconti di Lovercraft prendono sempre avvio da un’ambientazione realistica; il terrore, oltre ad essere “filosofico”, è anche rigorosamente materiale; le situazioni vengono sempre evocate con una precisione quasi chirurgica. Il tutto grazie ad uno stile raffinato, minuzioso e che sovente attinge a linguaggi settoriali (basti pensare, ad esempio, all’uso del linguaggio scientifico…).
“Sia ben chiaro che alla fine non sperimentai alcun orrore visivo. Dire che un trauma psichico fu la causa delle mie deduzioni - l’ultima goccia che mi fece uscire a precipizio dall’isolata fattoria di Akeley, per attraversare di notte le selvagge colline a cupola del Vermont in un’automobile di cui mi ero impossessato indebitamente - significa ignorare i fatti puri e semplici della mia ultima esperienza. Nonostante la profonda misura in cui ho condiviso con Henry Akeley le informazioni e le speculazioni, i misteri che vidi e udii e la riconosciuta vividezza dell’impressione che in me tali misteri avevano prodotto, non posso nemmeno adesso provare se la mia terrificante deduzione fosse corretta o sbagliata. Perché, dopotutto, la sparizione di Akeley non dimostra nulla. Nella sua casa non venne trovato niente fuori posto, solo i segni delle pallottole all’esterno e all’interno. Era proprio come se fosse uscito casualmente a fare una passeggiata sulle colline, e non fosse tornato. Non c’era nemmeno una traccia per dire che lì c’era stato un ospite, o che quegli orribili cilindri e macchine erano stati messi nello studio. Nemmeno il fatto che avesse temuto a morte le fitte, verdi colline e gli infiniti rivoli dei ruscelli tra i quali era nato e cresciuto, significa qualcosa; perché sono migliaia a essere soggetti a simili paure morbose. E, inoltre, l’eccentricità potrebbe facilmente giustificare i suoi strani comportamenti e le ultime apprensioni”.
“Il weird allucinato e ridondante di Lovercraft, portando alle estreme conseguenze gli incubi della cultura di massa, partecipa a quella disgregazione di una forma narrativa borghese, basata sulle false sicurezze della vita quotidiana, sul piccolo cabotaggio psicologico e sentimentale. Lo scrittore americano, morto nel 1937, aveva intuito l’avvento della catastrofe, la disumanizzazione delle coscienze, l’annientamento del linguaggio” (Carlo Pagetti).