Libri, in viaggio con Cavezzali sul "Supercamper"

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Dopo il successo dei precedenti romanzi – “Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini” nel 2018, dedicato alla controversa figura dell’imprenditore morto nel 1993, e “Nero d'inferno” dell’anno successivo, in cui si raccontava la storia di Mario Buda, anarchico romagnolo che fece saltare in aria Wall Street – il ravennate Matteo Cavezzali (classe ’83), autore di testi per il teatro, collaboratore di diversi giornali e riviste, e fondatore del festival letterario Scrittura che si svolge a Ravenna e condirettore di Salerno Letteratura, torna con “Supercamper. Un viaggio nella saggezza del mondo” (Laterza), romanzo in cui l’autore accompagna il lettore alla scoperta dei tanti viaggi fatti a bordo di un vecchio «furgone Volkswagen T3 giallo, adibito a camper, immatricolato nel 1977 e targato RA102211».

Cavezzali, da dove nasce il suo terzo libro?

«È il mio libro più felice. Dopo questo periodo di chiusura, mi piaceva tornare in libreria con una boccata d’aria fresca. È un libro che vuole accompagnare il lettore in un viaggio lento intorno al mondo, che va dalla Francia alla Grecia, dagli Stati Uniti all’estremo oriente, collezionando storie di questi luoghi. Non mancano però anche pagine sul “molto vicino”, sulla Romagna, in cui ci sono molte cose da scoprire, anche facendo pochissima strada. È un atto d’amore per il viaggiare, che prende spunto (e titolo) dai primi viaggi che facevo con i miei genitori e mia sorella Ilaria, su un furgone Volkswagen scalcinato che chiamavamo Supercamper. Partivamo all’avventura e ci lasciavamo condurre dal viaggio, non eravamo noi a decidere il percorso, ma seguivamo il flusso di ciò che accadeva. Rigorosamente senza prenotare niente».

«Viaggiare non è solo spostarsi con il corpo, ma significa attraversare sguardi diversi dal proprio, tentare di vedere il mondo da un altro punto di vista». Nel suo ultimo lavoro, dove i luoghi nascono come spazi fisici per diventare spazi della mente, del pensiero, degli incontri e delle emozioni, risulta centrale il tema del viaggio, che si muove su un doppio binario, quello fisico e autobiografico da un lato e quello culturale – «tra memorie lontane e abitudini che a un primo sguardo possono sembrare bizzarre» – e interiore dall’altro, alla scoperta di sé e della voglia di trovare la sinfonia capace di unire tutta l’umanità. Cosa rappresenta per lei il viaggio?

«Viaggiare è mettersi in una condizione mentale. Bisogna distinguere tra turista e viaggiatore: il turista è colui che corre per fare delle crocette su un elenco di cose che “deve vedere”, il viaggiatore è colui che si lascia sorprendere dal luogo in cui arriva, che lascia che siano i suoni, i colori, le persone che incontra a fargli scoprire l’anima di un luogo. In Grecia, per esempio, ho conosciuto un pescatore, che affittava la barca ai turisti, mi sono messo a parlare con lui e gli ho detto che, anziché prendere la barca, volevo andare con lui a pescare. Così la mattina dopo all’alba siamo andati e mi ha insegnato a pescare il polpo con una antichissima tecnica, secondo lui tramandata dei tempi di Omero. È stato un momento speciale e lui era molto sorpreso dalla mia richiesta, ma poi è nata una amicizia, intensa, anche se durata appena poche ore».

Dei tanti aneddoti riportati, quale occupa un posto speciale nel suo cuore e perché?

«Nei viaggi succedono le cose più strane e inaspettate. Ci sono due modi di porsi davanti agli inevitabili “inciampi” del viaggio, quando si fora una ruota, quando ci si perde o quando accede un imprevisto. Il primo, quello che viene più naturale, è “incazzarsi”, così facendo però ti rovini la vacanza. Il secondo è pensare a quello che stai vivendo guardandolo da fuori, come se fossi il protagonista di un racconto o di un film. Io mi sono sentito molte volte protagonista inconsapevole di una commedia all’Italiana, quando rimasi in panne in auto con un’importantissima autrice che dovevo accompagnare a ritirare un premio, quando in Irlanda ci salì una capra sul camper, attratta dalla marmellata con cui stavamo facendo colazione, e non riuscivamo più a farla scendere, o quando nella stanza d’albergo che avevamo prenotato a Barcellona trovammo un russo ubriaco che si era chiuso dentro e ci tirava frutta dalla finestra. L’unico modo per superare le avversità è stato pensare alla faccia divertita che avrebbero fatto gli amici al bar Teodora quando gli avrei raccontato quelle buffe disavventure, in cui ognuno di noi, prima o poi si imbatte».

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