“Liberazione, un fatto corale da raccontare senza retorica”

RIMINI. C’è un elenco di nomi, di date, di luoghi che la Romagna tutta intera dovrebbe imparare a riconoscere, a portare con sé. È l’elenco dei luoghi, delle date, dei nomi che insieme costruiscono la narrazione della Liberazione in Romagna. L’arco di tempo in cui andò a compiersi la liberazione dei territori romagnoli: dall’estate del 1944 all’aprile del 1945. Protagonisti, oltre alle formazioni dell’esercito alleato, che risalivano la penisola italiana, i gruppi partigiani e di patrioti. In Romagna: l’8a brigata Garibaldi e la 5a tra la Romagna e le Marche. E la 28a Brigata Garibaldi Mario Gordini nel Ravennate. Ne facevano parte comunisti, socialisti, repubblicani, azionisti, cattolici, indipendenti, donne.

La memoria storica

«La liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti è il risultato di una lunga lotta e del desiderio di riscatto trasversale a tutti». Beppe Masetti, direttore dell’Istituto storico di Ravenna, ne è convinto: la storia della Resistenza e della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo è una storia che occorre ancora oggi raccontare, ma «raccontarla bene, senza retorica, anche perché ai giovani non arriva la retorica delle celebrazioni. Servirebbero narratori dei contenuti storici, serve una divulgazione. Serve usare ogni tipo di strumento, anche i social, anche internet». «La Liberazione è stato un fatto corale – continua – Gli ultimi anni del regime fascista, con la Repubblica sociale di Salò e l’occupazione tedesca furono molto duri per gli italiani. Fu facile costituire un ampio arco anti tedesco perché un po’ tutti ebbero motivo per odiare l’occupante. Oggi servirebbe allora porre fine alle divisioni politiche e anche porsi la questione di andare oltre ad un discorso politico generico, figlio di una necessità di legittimazione.». Servirebbe però tenere insieme «memoria della lotta partigiana e contributo decisivo degli alleati».

Ma anche ricordare, come fa lo storico riminese Maurizio Casadei, che «non esiste solo la Resistenza dei partigiani armati o dei patrioti». Il contributo degli italiani, e soprattutto delle italiane, si esplicitò infatti sotto forma di quella resistenza passiva che consistette nel dare ad esempio cibo o riparo a chi sfuggiva alla leva, a chi dopo l’8 settembre aveva smesso la divisa. «E questa forma di resistenza fu molto presente in tutta la Romagna».

La linea gotica

La storia della Liberazione in Romagna è innanzitutto la storia degli accadimenti lungo la cosiddetta linea gotica, il tracciato lungo l’Appennino tosco-emiliano eretto a difesa dei territori non ancora liberati dagli Alleati. Una linea di confine, geo-politica. Dove la morfologia dei luoghi, come accade in guerra, segna i destini dei territori. Di là gli alleati che stanno risalendo l’Italia dopo lo sbarco in Sicilia. Al di qua i tedeschi. «Tutta la zona dal fiume Metauro nelle Marche, fino al Marecchia, è tutta zona della linea gotica» ricorda Casadei. «Il territorio era fortemente militarizzato, con oltre ventimila militari. C’erano quattro divisioni tedesche, più formazioni dell’esercito dei repubblichini».

È in questo scenario che, mentre gli alleati avanzavano nel sud Italia e fino a Roma, iniziano a costituirsi le prime formazioni armate partigiane. «Il primo nucleo di resistenza armata si forma in Valmarecchia. Furono soprattutto militari che dopo l’8 settembre, non riuscendo a fuggire decidono di salire in vallata e si portano dietro armi e altro materiale bellico prima che cadesse in mano tedesca».

Sul fronte partigiano, i protagonisti diventano coloro che andranno a formare l’8 Brigata Garibaldi che nasce nel Forlivese e dove confluiranno anche riminesi e cesenati.

Comandante dell’8 Brigata diventerà, dopo avere guidato i gappisti in pianura, il cesenate Ilario Tabarri, nome di battaglia Pietro. Dai primi mesi del 1944 anche il riminese Guglielmo Marconi è sulle montagne dell’Appennino forlivese, dove con il nome di battaglia Paolo guida una serie di attacchi contro le linee degli occupanti e diventa vicecomandante dell’ottava Brigata.

I partigiani

«Le loro azioni più importanti – ricorda lo storico forlivese Miro Flamigni – erano quelle di sabotare le azioni dei tedeschi lungo la linea gotica per favorire l’avanzata anglo americana ma anche attaccare le caserme della Guardia nazionale repubblicana».

«Nel territorio romagnolo dell’allora provincia di Forlì che comprendeva anche Rimini operarono circa 6700 partigiani e patrioti e oltre seicento rimasero uccisi. Altrettanti furono i morti civili in rappresaglie e simili» ci ricorda Casadei.

Le stragi di civili

È il 7 aprile del 1944 quando viene compiuto l’eccidio di Fragheto, la piccola frazione del comune di Casteldelci, al confine tra Romagna, Marche e Toscana, dove militari tedeschi inquadrati nello Sturm – Bataillon OB Sudwest, impiegati in azioni di rastrellamento alle falde del Monte Fumaiolo assieme a milizie della repubblica sociale, uccidono 30 civili inermi.

Il 22 luglio del 1944 è invece il giorno della strage numericamente più consistente in Romagna, quella di Tavolicci, nel Cesenate, dove 54 persone di cui 19 sotto i 10 anni vengono trucidate dai nazi-fascisti.

Con la Battaglia di Rimini che porta alla liberazione della città “capoluogo” (ma all’epoca non ancora provincia), il 21 settembre del 1944, alleati e antifascisti piantano la prima bandiera importante in Romagna. Sono mesi difficili, Rimini è sotto bombardamento da quasi un anno, gli sfollati riempiono prima le campagne poi prendono la direzione del Monte Titano, la Repubblica di San Marino. La liberazione nei territori riminesi si compie il 29 settembre con la cacciata dei tedeschi da Bellaria. Ci è voluto più di un mese per liberare 40 chilometri. L’arrivo delle piogge, l’ingrossamento dei fiumi, non aiutò l’avanzata. Nel novembre del 1944 il proclama con il quale gli Alleati dichiaravano sospesa ogni operazione militare nel corso dell’inverno trova il disappunto delle formazioni partigiane. Città come Cesena, Forlì erano già liberate. Ma non Ravenna, dove opera la 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini” comandata da Arrigo Boldrini (il comandante Bulow) che riesce a convincere gli alleati canadesi a compiere un’azione congiunta che con la cosiddetta Battaglia delle valli porterà alla liberazione di Ravenna, il 4 dicembre del 1944, e delle zone limitrofe. Il 27 novembre, a Madonna dell’albero, avviene la strage che porta all’uccisione di 56 civili da parte dei tedeschi che dopo avere lasciato Ravenna arretrano ma si fermano lungo il Senio, affluente del Reno. E per i territori di quelle zone, Alfonsine, Cotignola, Fusignano, la liberazione arriverà solo in primavera.

«Fu un terribile inverno – ricorda Beppe Masetti – Ci furono bombardamenti che distrussero i paesi affacciati lungo la linea del Senio». Ma con la Battaglia del Senio anche quei territori furono liberati. E poi Imola, il 17 aprile, che pure fu teatro di un terribile eccidio, del pozzo Becca, con sedici prigionieri politici e partigiani torturati e uccisi.

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