Letture: la favola di Marino Magliani

Cultura

Un giorno – che poi per quella valle sommersa dire giorno è esagerato, perché quando di rado, e inspiegabilmente, scendeva un po’ di luce tuttalpiù si passava dal buio a una specie di meno buio –, un pesciolino azzurro, al ritorno da un viaggio in cima alle acque, raccontò di aver visto strani animali che pascolavano dove finiscono le onde, dotati di un ottimo udito, che gli umani chiamano asinelli.
Gino allora era un cavalluccio marino, coetaneo del gamberone Lucio, col quale si divertiva a scavare gallerie nelle rocce tufaline, provocando crolli, e a collezionare vecchie conchiglie, angoli di spugna e stoffa colorata che trovavano nei relitti.
Il pesciolino azzurro non era granché simpatico a Gino, e come tanti pesciolini dotati di una debole luce propria, si dava delle arie, girava i fondali con le sue squame fosforescenti e due striscette scure attorno agli occhi, che da lontano sembrava arrivasse un professorino con gli occhiali.
Quando si radunava in piazza la gente del luogo, il pesciolino azzurro saliva su una crosta di ringhiera, colata a picco chissà quando, e prendeva la parola. Erano racconti piene di bollicine d’aria, e non di rado iniziavano con l’inutile citazione: Un giorno…
La volta in cui narrò le avventure degli asinelli, descrivendone anatomie del senso dell’udito, ad esempio, aveva iniziato proprio così:
«Un giorno…»
«Cos’è un giorno?» gli aveva chiesto un gamberone.
«Dunque, nel posto dove sono stato ci sono i giorni…»
«In che senso?» domandava un riccio sputando sabbia.
«Be’, se spunta un sole tipo il corallo è giorno, se escono stelle e lune gialle e grasse come un pesce luna è notte.»
E così aveva ripreso a raccontare che un giorno sulla spiaggia…
«Cos’è la spiaggia?» domandava l’intera popolazione dei gamberoni.
Paziente, il pesciolino azzurro spiegava loro cos’era la spiaggia, perché i gamberoni sapevano tutto, solo che non avevano memoria, per questo camminavano andando indietro alla ricerca delle cose passate.
«La spiaggia è una montagna di sabbia sdraiata contro la quale picchia l’ultima onda, il mare lassù è una collina tagliata, e io quel giorno, come vi dicevo, ho visto trottare cavallini e altri animali che vi assomigliano molto…»
I fondali erano belli, anche se ci si vedeva poco. Fortunatamente, certe alghe, in base alle correnti, sprigionavano un fascio luminoso, e allora, dalle ragnatele dei coralli spugnosi, quelle che stringevano il passaggio e gli facevano il solletico alle orecchie, Gino sbucava in piazze sfavillanti, e come per un miracolo o un sogno, i suoi occhi e poi anche quelli di Lucio distinguevano le cose, trovavano le forme e i colori del mondo come forse l’aveva conosciuti solo il pesciolino azzurro con gli occhiali. Per il resto, sui fondali era una noia, non c’erano prati, chiese e città ma le solite colline verdi di alghe e scogli rosa e gallerie, occhi sbarrati di pescioni che giravano a farla da prepotenti mostrando dentoni aguzzi.
Dopo aver a lungo pascolato tra le alghe, Gino si sdraiò su una scogliera accanto a Lucio, non lontano dal Battello Affondato, e guardò in su.
«Presto me ne vado» disse.
«Ti manca qualcosa qui?» Lucio, come tutti i gamberoni, coltivava una specie di accento piemontese.
In effetti no, Gino aveva parecchi amici, fratelli e sorelle, il suo miglior amico era Lucio, e non gli mancava nulla. L’infanzia l’aveva trascorsa tra la Valle dei Corallini e il Battello Affondato e aveva imparato i giochi e i nomi di ogni scogliera e relitto. Prima di chiamarsi così, ad esempio, la zona del Battello Affondato era conosciuta come il Giardino dei Pomodori Cuor di Bue, perché nella roccia porosa di quell’area cresceva un’alga col sapore di pomodoro, dotata di rami duri e ricurvi che assomigliavano alle corna di un bue. I vecchi, tranne i gamberi che non ricordavano, la ricordavano ancora con quel nome, ma da quando il pesciolino azzurro era tornato dal mondo delle onde, per sua insistenza e vanità la comunità dei fondali aveva finito per sostituire quasi tutti i nomi, e i gamberoni, non ricordando i vecchi nomi e poi non ricordando neanche i nuovi, avevano accettato.
«Non mi manca nulla, solo che voglio andare a vedere gli asinelli».
Gino ripeteva le cose a Lucio come se non gliele avesse mai dette. Gli diceva che non si viaggia tanto per viaggiare, ma perché qualcuno ha viaggiato prima di noi e poi torna e racconta le cose, i nomi, parla altre lingue. Non era facile spiegare a Lucio queste cose.
Ogni giorno, Gino gli ripeteva che voleva andare via, e non se ne andò mai, perché ogni giorno Lucio si faceva ripetere quel desiderio, fin quando dopo tanti anni la memoria non abbandonò anche Gino, dimenticò gli asinelli, e non rimase che quell’istinto: andar via. Ma dove?
(a cura di Marco Nardini)

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