L’esaltante giornata di gloria dell’anziano agitatore libertario

Archivio

Sei anni dopo il fiacco comizio riminese del 29 settembre 1913 (si veda l’articolo di questa rubrica sul Corriere Romagna del 10 novembre 2020), l’anarchico Errico Malatesta (1853-1932) ottiene la sua grande rivincita. La città non solo lo applaude, ma gli tributa anche quella calorosa accoglienza che normalmente si conferisce ai vincitori. La vicenda che andiamo ad illustrare e che ha come protagonista il grande agitatore libertario si attiene scrupolosamente alle cronache dei giornali. Dopo il lungo soggiorno obbligato a Londra, Malatesta – eterno “piantonato speciale” dalla polizia – si muove senza impedimenti per il Paese per propagandare gli ideali della rivoluzione anarchica. La situazione politica e sociale gli è favorevole: la guerra, conclusasi da poco più di un anno, ha creato profonde lacerazioni sociali e la protesta con scioperi e tafferugli sta assumendo i connotati della violenza. Alle elezioni del 16 novembre 1919 i socialisti con il 32 per cento dei suffragi sono diventati il partito maggioritario e buona parte del proletariato, principale artefice della loro avanzata, inneggia all’«irriducibile sobillatore» e alle sue teorie. Malatesta, reduce dall’esilio, arriva a Rimini lunedì 5 gennaio 1920 con il treno delle 12,40. Alla stazione, ad aspettare il «perseguitato dalla borghesia di tutti i paesi», questa volta non ci sono le manette dei tutori dell’ordine e neanche le ammucchiate di sbirri in borghese pronti a sorvegliare tutti i suoi spostamenti, ma tripudio di folla e gran sventolio di bandiere. Germinal, organo del Sol dell’Avvenire riminese, il 10 gennaio 1920 parla di «più di un migliaio di persone» accorse «dai paesi limitrofi»; L’Ausa, espressione locale del pipì (partito popolare), ridimensiona l’entusiasmo e scrive di «un centinaio di dimostranti»; ammette però la presenza sul posto di «molti curiosi». D’altronde, un successo di tali proporzioni era prevedibile: oltre ai manifesti degli anarchici, che salutavano il loro anziano leader, c’erano anche quelli dei socialisti e dei repubblicani – uniti come un tempo nella comune e ideale battaglia dei valori progressisti – che invitavano la popolazione a dare degna accoglienza al «difensore del proletariato». Dalla stazione si forma un poderoso corteo con Malatesta circondato dai vessilli rossi e neri delle organizzazioni politiche della Sinistra. Al canto dell’Internazionale la massa vociante raggiunge piazza Cavour dove, all’albergo Commercio, l’insigne ospite è atteso per il pranzo. Mentre l’anarchico e i suoi accoliti consumano il frugale pasto, la gente – che aspetta l’oratore nei pressi del teatro Vittorio Emanuele – aumenta di numero. Alle 17 il «pericolo pubblico numero uno» entra nell’atrio della mole polettiana trascinandosi dietro una fiumana di simpatizzanti. Per la limitata capacità dell’ambiente non tutti riescono a varcare la soglia del teatro e ad ascoltare la sua voce. Il comizio è un incitamento continuo e ossessivo alla rivoluzione, «trasformatrice della società borghese degli sfruttatori in società umana del proletariato lavoratore». Il fragore degli applausi che rintrona all’interno della sala trasmette all’esterno la grande eccitazione degli astanti. Dopo essersi fatto interprete del malcontento popolare e aver più volte sollecitato i presenti a tenersi pronti per «compiere la rivoluzione», Malatesta termina il suo dire «inneggiando alla fratellanza universale dei popoli». La conferenza si chiude senza contradditorio. Questa volta, però, il motivo non è dovuto alla presenza nell’atrio degli agenti di polizia che ne impediscono lo svolgimento – come nella riunione del 1913 –, ma alla comunanza degli intenti con le opinioni del comiziante: gli inviti dell’anarchico alla ribellione sono pienamente condivisi dagli ascoltatori e ulteriori chiarimenti sono ritenuti addirittura una perdita di tempo. Tutti d’accordo con il relatore; tutti propensi alla rivoluzione; tutti decisi a farla anche subito. L’esaltante giornata del seducente agitatore libertario si conclude con un nuovo e più consistente corteo per le strade del centro storico. Dopo Rimini il successo si ripete il giorno dopo – martedì 6 gennaio – a Riccione, dove Malatesta è accolto addirittura «dalla fanfara dei giovani socialisti e da una folla plaudente». Sorgiamo! nel riferire il fervore dei due memorabili «raduni adriatici», parla di superbe manifestazioni di affetto «che i lavoratori riminesi hanno dato al compagno ritornato dall’esilio». Per la cronaca va detto che Malatesta godrà della libertà di movimento e di parola ancora per poco: prima che finisca l’anno sarà nuovamente arrestato e rinchiuso nel carcere di San Vittore a Milano.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui